Patto dei Sindaci: molto già fatto, tanto ancora da fare
Oltre 2.600 Comuni aderenti in Italia e, tra questi, oltre il 64% (pari a più di 1.600) ha già approvato nel proprio Consiglio Comunale il Piano di Azione per l’Energia Sostenibile (PAES), lo strumento programmatico che certifica lo stato dell’arte in termini di emissioni di CO2 sul territorio comunale e ne prospetta la riduzione di almeno il 20% entro il 2020. “Attraverso azioni concrete di efficienza energetica e sviluppo delle fonti rinnovabili, i Comuni stanno dimostrando che è possibile agire”.
Antonio Lumicisi, responsabile del Patto dei Sindaci per il ministero dell’Ambiente, fa il punto dell’operazione con e7, il settimanale di QE alla sua nuova uscita, e sottolinea come le criticità che ancora restano da affrontare riguardano in particolar modo: il riconoscimento delle azioni locali nell’ambito della politica energetico-climatica nazionale; una maggiore attenzione verso gli strumenti economico-finanziari a disposizione degli Enti locali per attuare quanto prefissato nei loro PAES.
“I limiti sempre più stringenti del Patto di stabilità non permettono a molti Comuni di fare investimenti adeguati nei settori dell’energia sostenibile”, spiega a questo proposito. “E se da una parte esistono già alcuni strumenti (finanziamento tramite terzi con il coinvolgimento delle ESCo) che permettono ai Comuni di realizzare impianti ed interventi di risanamento energetico, dall’altra parte non tutti gli enti locali ne sono a conoscenza e una maggiore e più capillare informazione e formazione va fatta per giungere anche ad un’azione condivisa di proposta di deroga al Patto di stabilità”.
Ecco perché si torna sempre alla centralità del tema informazione/formazione.
“Da due anni il ministero dell’Ambiente porta avanti il progetto PON GAS (Programma Operativo Nazionale – Governance e Azioni di Sistema) che si prefigge di aumentare le conoscenze e le competenze all’interno della pubblica amministrazione locale e regionale sui temi dello sviluppo sostenibile e, quindi, della pianificazione ambientale ed energetica”, sottolinea Lumicisi. Che poi aggiunge come “nel biennio 2012-2013, tra le azioni formative del progetto PON GAS attuate nelle Regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia si possano menzionare i Moduli di Sviluppo delle Competenze (MSC): la più importante iniziativa di formazione diretta ai funzionari e tecnici della pubblica amministrazione sui temi della pianificazione ambientale ed energetica”.
Ma è veramente la scarsità in termini di risorse economico-finanziarie a frenare l’attuazione delle azioni inserite all’interno dei PAES?
“Se da una parte è vero che le risorse a disposizione degli enti locali sono andate sempre di più diminuendo nel corso degli ultimi anni, senza contare il problema già evidenziato dei vincoli del Patto di stabilità, non possiamo negare che in alcuni contesti non è stata certamente la penuria delle risorse finanziarie a bloccare la realizzazione degli interventi”, dice ancora Lumicisi.
“Ad esempio, se prendiamo in considerazione l’ingente quantità di fondi strutturali a disposizione dell’Italia, si nota che non tutte queste risorse sono state utilizzate. Una maggiore attenzione a questo problema è doverosa. Alcune Regioni, in extremis, ne stanno impegnando una parte, per non perderle; la Regione Sicilia ha varato un interessante programma di supporto a tutti i Comuni per far redigere il proprio PAES che servirà da base per l’aggiornamento del Piano Energetico Regionale. E diverse Regioni stanno pianificando ora le azioni di indirizzo per la prossima Programmazione 2014-2020, fondamentale l’inclusione a 360° gradi dei temi della pianificazione ambientale ed energetica locale”.
Luci alla ribalta
Illuminare oggi significa anche fare più efficienza. Ma come si sta muovendo il settore del lighting in un mercato che sembra aprire nuovi margini al comparto industriale?
e7, il settimanale di QE, ne ha parlato con Gianni Drisaldi, presidente di A.I.D.I., l’Associazione Italiana di Illuminazione, che comprende le industrie costruttrici di apparecchi, sorgenti luminose, materiale ausiliario per illuminazione, i distributori di energia elettrica, progettisti, impiantisti e commercianti.
Innanzitutto il led al centro, dice il presidente. “Possiamo assolutamente dire che il led ha aggredito il mercato in senso generale, di fatto è ormai presente su tutte le linee di produzione ed è declinato su ogni tipologia di illuminazione. E’ impensabile oggi realizzare un nuovo impianto di illuminazione stradale o nelle gallerie senza rivolgersi a questa tecnologia. Anche nel mercato domestico per alcune tecnologie come i faretti alogeni, il led è il sostituto per eccellenza, permettendo agilmente anche il retrofit degli impianti pre-esistenti. Qualche difficoltà è data dai costi, in quanto come tecnologia è ancora costosa, nonostante il chiaro effetto di efficientamento complessivo. Diciamo che i costi iniziali ancora non giustificano il risparmio di uso”.
Ma come si muove, in questo scenario, l’inustria?
“Dobbiamo dividere l’industria in due settori: chi realizza il faretto e chi costruisce sorgenti led”, spiega Grisaldi. “L’industria tipica manifatturiera italiana è quella degli apparecchi illuminanti. In questo comparto vediamo sempre più a catalogo proposte al led”.
“Non ci sono invece grandi cambiamenti di scenario complessivo – aggiunge subito dopo – rispetto ai produttori di lampade a parte qualche nuovo ingresso proveniente dal mondo dell’elettronica. Comunque restiamo generalmente nell’ambito delle multinazionali. Il settore comunque è in crescita, l’unico timore è che produttori meno seri possano mettere in commercio prodotti poco longevi e dalle colorazioni di luce sbagliate (quasi azzurrine) quindi tecnologie non idonee”.
Importante e necessario è agire per la diffusione della conoscenza sui nuovi prodotti.
“Ci stiamo lavorando e abbiamo proposto una scheda tecnica per aiutare il nostro target, soprattutto il progettista installatore, a fare chiarezza sulle caratteristiche degli apparecchi offrendogli la possibilità di progettare con questi mezzi”, sostiene il presidente di A.I.D.I. Senza dimenticare che “anche il consumatore finale è più attento al problema dell’efficienza e in molti si stanno interessando a questo tema in prima persona, qualche volta perfino un pò pericolosamente rischiando di creare aspettative infondate”, conclude. Un giusto equilibrio nello sviluppo, dunque, il messaggio da concretizzare per un settore in forte espansione.
Olimpiadi 2024, sfida sostenibile
Tre scadenze fondamentali: il 2015 con la candidatura, il 2017 con l’assegnazione, il 2024 con i Giochi. Sono queste le tappe che dovrebbero avvicinare e concretizzare il sogno olimpico italiano, immaginato e conteso dalle città di Roma e Milano. La nuova partita da giocare è per il 2024, e sono già iniziate le discussioni tra favorevoli e contrari. Una sfida che corre sul filo dell’economia, ma anche delle prospettive di sviluppo infrastrutturale e tecnologico per il Paese.
Caratteristica delle ultime edizioni, infatti, è stato il forte impulso dato alle città ospitanti in termini di sostenibilità ambientale e innovazione, sottese al modello della smart city. Se ne parla su e7, il settimanale di QE, alla nuova uscita con alcuni approfondimenti.
Se quello della sostenibilità è un principio dichiarato (è del 1999 l’approvazione dell’Agenda 21 che individua in questo elemento uno dei pilastri delle Olimpiadi), quello dell’innovazione tecnologica è del resto ormai un elemento imprescindibile per chi si propone di ospitare un evento dal richiamo internazionale e dai numeri impressionanti, con conseguenti sfide per mobilità, trasporti, logistica, ambiente, sicurezza etc.
Basti pensare a quanto sta avvenendo in Brasile per l’appuntamento olimpico e con il mondiale di calcio, dove non solo le strutture sportive, ma interi quartieri e città stanno conoscendo un’evoluzione mai incontrata prima. Guardando indietro, invece, i casi di Pechino 2006 e Londra 2012 rappresentano un valido esempio di come l’organizzazione dei grandi eventi sportivi ha inciso sull’applicazione di avanzatissime soluzioni per l’efficienza energetica, lo smart lighting e la mobilità alternativa.
“Occorre fare un’attentissima valutazione sui costi e i benefici reali di questa prospettiva, poiché l’esperienza ci insegna – pensando anche a Torino 2006 – che non sempre le previsioni si confermano. Quando Monti decise di intervenire sul tema non fece una follia, ma semplicemente operò una valutazione. Detto ciò, al 2024 avremo una disponibilità infrastrutturale nel settore sportivo sicuramente da aggiornare e questo sarà un primo capitolo di investimento. In secondo luogo, la gestione degli arrivi e quindi lo sviluppo di strutture ricettive. Un tema, questo, che con l’Expo 2015 è già stato affrontato, così come per la logistica delle merci”, commenta Andrea Gilardoni (Bocconi), già assessore alla Mobilità e ai Trasporti della Regione Lombardia.
“Non ci possono essere eccessi di entusiasmo per un evento che si terrà tra undici anni che per forza di cose va contestualizzato nella situazione economica attuale. Certo, in questo ampio lasso di tempo è auspicabile che lo scenario migliori, ma si consideri anche che adesso l’apertura di un comitato di candidatura ha un costo compreso tra i 40 e i 70 milioni di euro. Nei prossimi due anni non si prevedono grandissime evoluzioni economiche, data la sostanziale stagnazione. Quindi, siamo nel momento peggiore per presentare un progetto come questo, a meno che non ci siano prima dei segnali di crescita reali”.
Questa la lettura economica della candidatura italiana da parte del direttore di Sport Economy, Marcel Vulpis, che ricorda: “Tra i rivali per il 2024 ci sarà Parigi, che ospiterà anche l’europeo di calcio del 2016. Un rivale che ha delle condizioni di partenza migliori delle nostre. Occorre valutare se vale la pena impegnarsi economicamente già per circa 70 milioni, sapendo della presenza di rivali così forti (considerando anche che probabilmente l’assegnazione andrà a una città europea, quindi potrebbero candidarsi altre realtà come Berlino), quando ci sono altre urgenze nel Paese”. “La candidatura 2020 fu bocciata dall’allora premier Monti, quando ci si trovava in una situazione economica non certo migliore di quella attuale; esperienza che ci ha lasciato già un buco di un milione di euro”, conclude.