Patto dei Sindaci: molto già fatto, tanto ancora da fare

Oltre 2.600 Comuni aderenti in Italia e, tra questi, oltre il 64% (pari a più di 1.600) ha già approvato nel proprio Consiglio Comunale il Piano di Azione per l’Energia Sostenibile (PAES), lo strumento programmatico che certifica lo stato dell’arte in termini di emissioni di CO2 sul territorio comunale e ne prospetta la riduzione di almeno il 20% entro il 2020. “Attraverso azioni concrete di efficienza energetica e sviluppo delle fonti rinnovabili, i Comuni stanno dimostrando che è possibile agire”.

Antonio Lumicisi, responsabile del Patto dei Sindaci per il ministero dell’Ambiente, fa il punto dell’operazione con e7, il settimanale di QE alla sua nuova uscita, e sottolinea come le criticità che ancora restano da affrontare riguardano in particolar modo: il riconoscimento delle azioni locali nell’ambito della politica energetico-climatica nazionale; una maggiore attenzione verso gli strumenti economico-finanziari a disposizione degli Enti locali per attuare quanto prefissato nei loro PAES.

“I limiti sempre più stringenti del Patto di stabilità non permettono a molti Comuni di fare investimenti adeguati nei settori dell’energia sostenibile”, spiega a questo proposito. “E se da una parte esistono già alcuni strumenti (finanziamento tramite terzi con il coinvolgimento delle ESCo) che permettono ai Comuni di realizzare impianti ed interventi di risanamento energetico, dall’altra parte non tutti gli enti locali ne sono a conoscenza e una maggiore e più capillare informazione e formazione va fatta per giungere anche ad un’azione condivisa di proposta di deroga al Patto di stabilità”.

Ecco perché si torna sempre alla centralità del tema informazione/formazione.

“Da due anni il ministero dell’Ambiente porta avanti il progetto PON GAS (Programma Operativo Nazionale – Governance e Azioni di Sistema) che si prefigge di aumentare le conoscenze e le competenze all’interno della pubblica amministrazione locale e regionale sui temi dello sviluppo sostenibile e, quindi, della pianificazione ambientale ed energetica”, sottolinea Lumicisi. Che poi aggiunge come “nel biennio 2012-2013, tra le azioni formative del progetto PON GAS attuate nelle Regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia si possano menzionare i Moduli di Sviluppo delle Competenze (MSC): la più importante iniziativa di formazione diretta ai funzionari e tecnici della pubblica amministrazione sui temi della pianificazione ambientale ed energetica”.

Ma è veramente la scarsità in termini di risorse economico-finanziarie a frenare l’attuazione delle azioni inserite all’interno dei PAES?

“Se da una parte è vero che le risorse a disposizione degli enti locali sono andate sempre di più diminuendo nel corso degli ultimi anni, senza contare il problema già evidenziato dei vincoli del Patto di stabilità, non possiamo negare che in alcuni contesti non è stata certamente la penuria delle risorse finanziarie a bloccare la realizzazione degli interventi”, dice ancora Lumicisi.

“Ad esempio, se prendiamo in considerazione l’ingente quantità di fondi strutturali a disposizione dell’Italia, si nota che non tutte queste risorse sono state utilizzate. Una maggiore attenzione a questo problema è doverosa. Alcune Regioni, in extremis, ne stanno impegnando una parte, per non perderle; la Regione Sicilia ha varato un interessante programma di supporto a tutti i Comuni per far redigere il proprio PAES che servirà da base per l’aggiornamento del Piano Energetico Regionale. E diverse Regioni stanno pianificando ora le azioni di indirizzo per la prossima Programmazione 2014-2020, fondamentale l’inclusione a 360° gradi dei temi della pianificazione ambientale ed energetica locale”.

Luci alla ribalta

Illuminare oggi significa anche fare più efficienza. Ma come si sta muovendo il settore del lighting in un mercato che sembra aprire nuovi margini al comparto industriale?

e7, il settimanale di QE, ne ha parlato con Gianni Drisaldi, presidente di A.I.D.I., l’Associazione Italiana di Illuminazione, che comprende le industrie costruttrici di apparecchi, sorgenti luminose, materiale ausiliario per illuminazione, i distributori di energia elettrica, progettisti, impiantisti e commercianti.

Innanzitutto il led al centro, dice il presidente. “Possiamo assolutamente dire che il led ha aggredito il mercato in senso generale, di fatto è ormai presente su tutte le linee di produzione ed è declinato su ogni tipologia di illuminazione. E’ impensabile oggi realizzare un nuovo impianto di illuminazione stradale o nelle gallerie senza rivolgersi a questa tecnologia. Anche nel mercato domestico per alcune tecnologie come i faretti alogeni, il led è il sostituto per eccellenza, permettendo agilmente anche il retrofit degli impianti pre-esistenti. Qualche difficoltà è data dai costi, in quanto come tecnologia è ancora costosa, nonostante il chiaro effetto di efficientamento complessivo. Diciamo che i costi iniziali ancora non giustificano il risparmio di uso”.

Ma come si muove, in questo scenario, l’inustria?

“Dobbiamo dividere l’industria in due settori: chi realizza il faretto e chi costruisce sorgenti led”, spiega Grisaldi. “L’industria tipica manifatturiera italiana è quella degli apparecchi illuminanti. In questo comparto vediamo sempre più a catalogo proposte al led”.

“Non ci sono invece grandi cambiamenti di scenario complessivo – aggiunge subito dopo – rispetto ai produttori di lampade a parte qualche nuovo ingresso proveniente dal mondo dell’elettronica. Comunque restiamo generalmente nell’ambito delle multinazionali. Il settore comunque è in crescita, l’unico timore è che produttori meno seri possano mettere in commercio prodotti poco longevi e dalle colorazioni di luce sbagliate (quasi azzurrine) quindi tecnologie non idonee”.

Importante e necessario è agire per la diffusione della conoscenza sui nuovi prodotti.

“Ci  stiamo lavorando e abbiamo proposto una scheda tecnica per aiutare il nostro target, soprattutto il progettista installatore, a fare chiarezza sulle caratteristiche degli apparecchi offrendogli la possibilità di progettare con questi mezzi”, sostiene il presidente di A.I.D.I.  Senza dimenticare che “anche il consumatore finale è più attento al problema dell’efficienza e in molti si stanno interessando a questo tema in prima persona, qualche volta perfino un pò pericolosamente rischiando di creare aspettative infondate”, conclude. Un giusto equilibrio nello sviluppo, dunque, il messaggio da concretizzare per un settore in forte espansione.

Olimpiadi 2024, sfida sostenibile

Tre scadenze fondamentali: il 2015 con la candidatura, il 2017 con l’assegnazione, il 2024 con i Giochi. Sono queste le tappe che dovrebbero avvicinare e concretizzare il sogno olimpico italiano, immaginato e conteso dalle città di Roma e Milano. La nuova partita da giocare è per il 2024, e sono già iniziate le discussioni tra favorevoli e contrari. Una sfida che corre sul filo dell’economia, ma anche delle prospettive di sviluppo infrastrutturale e tecnologico per il Paese.

Caratteristica delle ultime edizioni, infatti, è stato il forte impulso dato alle città ospitanti in termini di sostenibilità ambientale e innovazione, sottese al modello della smart city. Se ne parla su e7, il settimanale di QE, alla nuova uscita con alcuni approfondimenti.

Se quello della sostenibilità è un principio dichiarato (è del 1999 l’approvazione dell’Agenda 21 che individua in questo elemento uno dei pilastri delle Olimpiadi), quello dell’innovazione tecnologica è del resto ormai un elemento imprescindibile per chi si propone di ospitare un evento dal richiamo internazionale e dai numeri impressionanti, con conseguenti sfide per mobilità, trasporti, logistica, ambiente, sicurezza etc.

Basti pensare a quanto sta avvenendo in Brasile per l’appuntamento olimpico e con il mondiale di calcio, dove non solo le strutture sportive, ma interi quartieri e città stanno conoscendo un’evoluzione mai incontrata prima. Guardando indietro, invece, i casi di Pechino 2006 e Londra 2012 rappresentano un valido esempio di come l’organizzazione dei grandi eventi sportivi ha inciso sull’applicazione di avanzatissime soluzioni per l’efficienza energetica, lo smart lighting e la mobilità alternativa.

“Occorre fare un’attentissima valutazione sui costi e i benefici reali di questa prospettiva, poiché l’esperienza ci insegna – pensando anche a Torino 2006 – che non sempre le previsioni si confermano. Quando Monti decise di intervenire sul tema non fece una follia, ma semplicemente operò una valutazione. Detto ciò, al 2024 avremo una disponibilità infrastrutturale nel settore sportivo sicuramente da aggiornare e questo sarà un primo capitolo di investimento. In secondo luogo, la gestione degli arrivi e quindi lo sviluppo di strutture ricettive. Un tema, questo, che con l’Expo 2015 è già stato affrontato, così come per la logistica delle merci”, commenta Andrea Gilardoni (Bocconi), già assessore alla Mobilità e ai Trasporti della Regione Lombardia.

“Non ci possono essere eccessi di entusiasmo per un evento che si terrà tra undici anni che per forza di cose va contestualizzato nella situazione economica attuale. Certo, in questo ampio lasso di tempo è auspicabile che lo scenario migliori, ma si consideri anche che adesso l’apertura di un comitato di candidatura ha un costo compreso tra i 40 e i 70 milioni di euro. Nei prossimi due anni non si prevedono grandissime evoluzioni economiche, data la sostanziale stagnazione. Quindi, siamo nel momento peggiore per presentare un progetto come questo, a meno che non ci siano prima dei segnali di crescita reali”.

Questa la lettura economica della candidatura italiana da parte del direttore di Sport Economy, Marcel Vulpis, che ricorda: “Tra i rivali per il 2024 ci sarà Parigi, che ospiterà anche l’europeo di calcio del 2016. Un rivale che ha delle condizioni di partenza migliori delle nostre. Occorre valutare se vale la pena impegnarsi economicamente già per circa 70 milioni, sapendo della presenza di rivali così forti (considerando anche che probabilmente l’assegnazione andrà a una città europea, quindi potrebbero candidarsi altre realtà come Berlino), quando ci sono altre urgenze nel Paese”. “La candidatura 2020 fu bocciata dall’allora premier Monti, quando ci si trovava in una situazione economica non certo migliore di quella attuale; esperienza che ci ha lasciato già un buco di un milione di euro”, conclude.

Automazione protagonista sulle reti e nelle nuove città

La nuova direttiva europea sull’efficienza energetica impatterà in maniera importante sull’industria prevedendo una serie di audit obbligatori che, indubbiamente, potrebbero muovere il mercato sia per chi offre sistemi di misura e controllo dei vettori energetici sia per chi offre tecnologie in grado di rendere più efficienti i processi produttivi e gli ambienti di lavoro. “Non dimentichiamo il mercato al di fuori del comparto industriale con l’evoluzione della smart community che sul concetto di efficienza basa il proprio sviluppo. Anche sulle reti e nelle città l’automazione giocherà un ruolo da protagonista”.

Giuliano Busetto, presidente di AssoAutomazione, è il protagonista della Focus Story del nuovo numero di e7, il settimanale di QE, alla vigilia dell’apertura del Forum Telecontrollo 2013, che comincia oggi a Bologna, un’occasione ormai consolidata per fare un bilancio su quanto realizzato nel comparto, coinvolgendo addetti del settore e utility. E cercando soprattutto di anticipare le future esigenze del mercato e le possibili soluzioni adottabili, alla luce dell’attuale disponibilità tecnologica e di quella attesa. All’evento, oltre alla Focus Story, vengono dedicati altri approfondimenti e interviste.

In questo quadro, Furio Cascetta, chairman ad alcune sessioni del Forum ed esperto del settore, si sofferma sulla diversità di approccio all’analisi dei dati tra telecontrollo e smart metering sostenenendo tra l’altro che “parliamo di due metodologie complementari e alternative: una più sistemistica e l’altra orientata alla tecnologia dei sistemi di misura”.

Piu’ in particolare, “nel telecontrollo – sottolinea – il focus è ottenere il miglior risultato in termini di risparmio energetico e gestionale, ponendo l’accento sul “come” utilizzare i dati di misura rilevati nel campo di lavoro analizzato. I valori di misura oggetto di analisi sono i più disparati: da parametri idraulici, come portate e pressioni, a dati elettrici sul sollevamento e sugli inverter. Le domande a cui risponde questo approccio sono mirate a cogliere le possibilità di risparmio energetico”.

“Lo smart meetering, invece, parte dalle tecnologie di misura e arriva in seconda analisi a valutare la comunicazione del dato e la trasmissione a distanza, quindi in solo in questa parte finale va a confluire nella logica del telecontrollo”, conclude.

“Il Forum nasce, oltre vent’anni fa, con l’ambizione di spiegare ai gestori delle reti di pubblica utilità i vantaggi che poteva portare l’impiego dell’automazione in termini di efficienza e sicurezza”, ribadisce dal canto suo Busetto che poi aggiunge come, da qualche anno, specialmente da quando le tecnologie del telecontrollo, quindi automazione ed ICT, sono diventate basilari per la realizzazione della comunità intelligente, oltre agli obiettivi originali l’intento prioritario sia stato quello di “diventare sempre più il punto di riferimento per le utility e la pubblica amministrazione, innescando una collaborazione necessaria per la realizzazione del progetto di un Paese più smart”.

Fer all’angolo? No, è l’ora di un balzo in avanti

“Il momento non è facile. Da troppe parti si assiste al tiro al piccione contro le rinnovabili. Tuttavia riteniamo che questa fase sia superabile con un balzo in avanti. I bond proposti dal Governo per finanziare le Fer, per esempio, non erano la via da perseguire perché si andavano a caricare di spese le spalle dei nostri figli”.

Dopo la crescita esponenziale, in particolare del fotovoltaico, il settore si interroga sul futuro. Tanti i temi sul tavolo, a partire dall’assetto normativo, le innovazioni tecnologiche e gli obiettivi europei, da cui le rinnovabili rischiano di rimanere fuori. e7, il settimanale di QE alla sua nuova uscita, ne ha parlato con Giovanni Battista Zorzoli, portavoce di Free – Coordinamento Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica, che raggruppa numerose associazioni del settore.

Al posto dei bond “abbiamo proposto un’operazione di cartolarizzazione e di uscita dagli incentivi da parte delle tecnologie più mature, attraverso agevolazioni fiscali o facilitazioni in conto capitale”, sottolinea Zorzoli. Che poi aggiunge: “Chiediamo che una tecnologia esca dagli incentivi appena possibile e acceda a questi strumenti alternativi. La percentuale di detrazione può non essere fissa, ma deve consentire a una determinata tecnologia di ridare allo Stato, sotto forma di tassazione, almeno quanto viene ottenuto in termini di detrazioni fiscali. Bisogna far cambiare mentalità al ministero dell’Economia che non deve più ragionare di anno in anno, ma su un piano triennale”.

In termini di sviluppo tecnologico, il portavoce di Free aggiunge che le rinnovabili sono mature, ma con molte prospettive. “Per esempio, oggi è molto conveniente sostituire gli impianti eolici di prima generazione con soluzioni più innovative, perché sono più efficienti e allo stesso tempo meno impattanti visivamente”. “Anche il fotovoltaico ha notevoli margini di miglioramento sia nell’efficienza della conversione, sia nel passaggio dai moduli policristallini a quelli multistrato”.  E a livello internazionale, il solare termodinamico ha già dimostrato di essere giunto a maturazione presentando grosse prospettive. Senza dimenticare che biometano e bioetanolo forniranno un grande contributo per integrare i carburanti di origine fossile. “Un tema su cui l’Italia ha un know-how importantissimo, come dimostrano gli sviluppi di Mossi Ghisolfi”.

Nell’intervista si parla anche di storage, rappresentanza delle associazioni e target emissioni CO2. Quanto alla crisi del termoelettrico “abbiamo formulato una serie di ipotesi destinate ai produttori per uscire dalle difficoltà che stanno attraversando”, dice Zorzoli.  Per esempio ” le aziende dovrebbero passare dall’essere produttrici e venditrici di kWh a erogatrici di servizi a valore aggiunto nel campo dell’efficienza e delle rinnovabili non programmabili”.

Storage, è tempo di mercato

Se le tecnologie sono mature, ancora molta strada rimane da percorrere per mettere a punto quadri regolatori certi e soprattutto sul terreno della riduzione dei costi.  Secondo quattro grandi player del settore (Enel Distribuzione, Fiamm, Nec e Terna) lo storage è pronto a esprimere il proprio potenziale anche se non mancano da più parti sottolineature di aspetti ritenuti ancora critici. Questo il tema del “dossier” del nuovo numero di e7, il settimanale di QE.

“Il costo di uno storage risulterebbe oggi in molti casi superiore rispetto al complesso degli impianti i cui flussi energetici potrebbe contribuire a regolare”, dice in proposito Riccardo Lama, Pianificazione e Assistenza Rete Elettrica di Enel Distribuzione.

“Da un punto di vista tecnologico non ci sono lati deboli evidenti. La tecnologia ha dimostrato solidità e affidabilità. Il mercato, però, non ha ancora espresso volumi sufficienti per ridurre i costi in modo competitivo”, spiega Nicola Cosciani, a.d. di Fiamm. “La maggior parte dei costi sono fissi e caleranno nel momento in cui la produzione sarà più ampia”, specifica. Di quanto e, soprattutto, quando? “Noi stimiamo che possa essere compresa tra il 20 e il 25%. Non avverrà tra 5 anni, ma tra 2. Non stiamo aspettando un breakthrough di ricerca o di innovazione, ma solo che il mercato parta”.

Ai costi di produzione ancora troppo alti, Nec Italia, che condivide le previsioni di Fiamm, aggiunge altri due fattori di ostacolo: la mancanza di standardizzazione sulle funzionalità richieste ai diversi componenti e l’incertezza del quadro regolatorio.

Proprio il quadro regolatorio è l’aspetto maggiormente critico anche secondo Terna Plus.

“Dopo un lungo periodo di studio – specifica Alessandro Fiocco, amministratore delegato della società del gruppo Terna responsabile dello sviluppo dei nuovi business – gli standard prestazionali sono in continuo miglioramento così come si individuano trend promettenti sul fronte della riduzione dei costi, sia a livello di tecnologia, sia a livello di soluzione. Forse i tempi sono maturi per un approccio regolatorio specifico europeo, che deve tener conto di fenomeni molto diversi”. Quali? “La crisi generale dei consumi, il riposizionamento del mix di fonti energetiche e la ventata di novità introdotte dalle nuove tecnologie e dalle smart grid”.

La tecnologia su cui al momento scommettono gli operatori rimane quella agli ioni di litio.

Nec, per esempio, cerca di sfruttare il doppio binario di sviluppo mobilità-reti elettriche. Una soluzione che, secondo i giapponesi, rappresenta un potenziale superiore (sia dal punto di visto del miglioramento della tecnologia che dell’abbattimento dei costi). Non a caso Nec ha stretto una joint venture con Nissan Renault nel 2008, da cui è nato uno dei più grandi siti produttivi di batterie per il settore automotive.

Ampio lo spettro di soluzioni di Terna Plus.

“Abbiamo avuto il merito di aver posto, primo TSO in Europa, il tema degli accumuli con largo anticipo e attualmente siamo l’unico gestore europeo a testare così tante tecnologie: dagli ioni di litio, ai sali di sodio-zolfo, fino alla cosiddetta zebra”, evidenzia Fiocco. “La destinazione di molte di queste tecnologie ad applicazioni innovative è oggetto di una specifica sperimentazione, svolta in coordinamento con l’Autorità per l’Energia e alcune entità di eccellenza nel campo della ricerca sui sistemi elettrici (RSE e Politecnico di Milano), a valle della quale saremo in grado di avere un presidio unico al mondo sulle tecnologie più adatte ad applicazioni grid. Consideriamo questa un’ottima base per ogni eventuale evoluzione a livello nazionale e sviluppo internazionale”.

“Noi – sottolinea invece Cosciani – vediamo quattro aree principali di mercato: quella rappresentata dai grandi TSO; quella degli operatori di distribuzione in media e bassa tensione; quella degli operatori di microrete, quindi un mercato privato che deve eletrifficare le aree non connesse; infine quella del residenziale”.

Proprio per il segmento domestico non mancano innovazioni interessanti. Nec, per esempio, ha lanciato in Giappone uno storage condiviso in cloud (leggi l’articolo su canaleenergia.com) che gestisce e monitora i consumi residenziali, per consentire la gestione integrata di sensori e sistemi di facility da più fornitori. Si tratta di una sorta di accumulo in rete con una banca energetica condivisa, in vista della completa liberalizzazione della vendita al dettaglio di energia elettrica nel Paese prevista per il 2016.

Canada, un‘energia da esportare. E c’è la sorpresa delle Fer

Non solo shale gas e sabbie bituminose. Il Canada è molto ricco anche di fonti rinnovabili e in particolare idroelettrico. Per non dimenticare la crescita delle smart grid  e lo sviluppo di sistemi efficienti. Energia da esportare dunque assieme ad un quadro di ben programmata autosufficienza nel segno di una diversificazione degli utilizzi.

“Noi generiamo il 61% di energia da idroelettrico e 50% dal nucleare, quindi più del doppio di quanto facciano gli Usa e, penso, anche l’Europa”, ha detto il ministro per le Risorse minerarie, Joe Oliver, a e7, il settimanale di QE alla sua nuova uscita. “Siamo anche i secondi produttori al mondo di uranio, i terzi produttori di petrolio da sabbie bituminose e abbiamo una considerevole produzione di gas; questo fa di noi una concreta risposta alle esigenze globali di energia. Attualmente la maggior parte della nostra produzione è rivolta al mercato Usa, ma viste le recenti estrazioni di shale gas negli Stati Uniti, è arrivato il momento di pensare ad una diversificazione del nostro mercato di esportazione”, aggiunge subito dopo.

“Reti ed efficienza sono i punti cardine del dialogo che stiamo portando avanti con gliUsa verso l’energia pulita. Riteniamo che le smart grid rappresentino una parte fondamentale di questo processo”, rimarca il ministro. “Rispetto all’efficienza, il nostro Paese è stato definito dal rank dell’International Energy Agency il secondo su 50. In tutto ciò, la nostra economia è cresciuta negli ultimi venti anni, tra il 1999 e il 2010, del 62%, mentre i nostri consumi energetici solo del 22%. Questo per dimostrarvi come, proprio grazie alla nostra attenzione all’efficienza, riusciamo a mantenere un ottimo rapporto tra consumi e crescita economica”.

L’Europa sta lavorando alla Fuel Quality Directive, con cui sembra voler fissare pesanti valori per il contenuto di CO2 dei greggi non convenzionali. Su questo il Canada ha avuto molto da ridire. “Il nostro obiettivo è la riduzione delle emissioni del 6% nei trasporti nell’ambito del 20-20-20. Ma, effettivamente, riteniamo che questa direttiva sia altamente discriminatoria. Abbiamo commissionato uno studio per dimostrare come siano mal considerate le emissioni dell’unconventional. Ad esempio tale direttiva non tiene conto nel conteggio delle emissioni della pratica, comune ad altri paesi come Russia o Nigeria, di bruciare e rilasciare in atmosfera il gas dei pozzi. Riteniamo inoltre che porre in questi termini il controllo dei carburanti inficerebbe molto sugli attuali equilibri di approvvigionamento degli stessi paesi europei, senza per altro risolvere davvero le necessità ambientali e affaticando il mercato”.

Di recente ci sono state polemiche sulla mancanza di una regolamentazione chiara sugli investitori stranieri. “La prima cosa da dire è che il Canada è aperto agli investimenti stranieri e lo abbiamo dimostrato negli anni”, replica il ministro. ” Inoltre siamo un Paese molto attrattivo per i finanziatori. L’importante è che in un settore strategico, come può essere quello delle sabbie bituminose, le aziende entrino come partner, ad esempio in joint venture, con le nostre aziende locali. Insomma che sia possibile mantenere una forma di supervisione nazionale rispetto risorse così strategiche”.

Quanto all’impatto ambientale, “le sabbie bituminose rappresentano circa l’1% delle emissioni mondiali. Nonostante questa considerazione noi facciamo tutto ciò che possiamo per ridurne l’impatto. Ne sono prova gli enormi investimenti che facciamo ogni anno in innovazione tecnologica, parliamo di circa 10 milioni di dollari, ci impegnamo per rendere questo processo di estrazione alla stregua di altri. Crediamo di poter sviluppare responsabilmente le nostre risorse. Così creiamo valore per noi e l’intero sistema”, conclude.

Post-2020, anche per l’Italia un unico target Ue

Il rischio di obiettivi segmentati è di avere costi elevati e ridotte riduzioni di CO2. “In sede europea abbiamo dunque rimarcato i motivi a sostegno di un approccio neutro da un punto di vista tecnologico e l’opportunità di introdurre un unico target post-2020 vincolante a livello europeo”. Così il dg del Mse energia nucleare, rinnovabili ed efficienza, Sara Romano, in una intervista pubblicata sul nuovo numero di e7, il settimanale di QE.

L’obiettivo, spiega, dovrebbe essere concentrato sulla riduzione delle emissioni di CO2, da declinare tra settori Ets e non e per Paese, sulla base del punto di partenza in termini di emissioni pro-capite. A ciò, aggiunge, si dovrebbe affiancare un obbligo per gli Stati membri di mettere a punto Piani Nazionali con misure di sviluppo per Fer ed efficienza (gli altri due obiettivi), indicando le politiche da assumere per rispettare l’obbligo di riduzione della CO2.

Romano nell’intervista passa in rassegna le misure strutturali e non per l’efficienza, a cominciare dagli interventi edilizi privati assieme a quelli portati avanti nella Pubblica Amministrazione. E si sofferma sui risultati del monitoraggio sui comparti industriali che, in questo ambito, presentano i maggiori margini di crescita. Obiettivo prioritario, tra i tanti: accelerare il superamento del divario tra ricerca e mercato. Infine, il punto sugli investimenti finanziati dal Fondo per la Ricerca di sistema elettrico con il Piano triennale 2012-2014.

Questo mercato così vicino e così lontano…

“Se andremo velocemente verso la generazione diffusa e l’efficienza nel consumo e nello stoccaggio, all’overcapacity delle grandi centrali si aggiungerà quella di parte delle reti. E nascerà il bisogno di logiche di dispacciamento dal basso che solo ora si sta iniziando ad affrontare. Nel contempo, si verificherà il problema del costo finanziario di infrastrutture – anche regolate – non più necessarie. Già oggi trapela una comprensibile preoccupazione nell’Autorità rispetto alle pressioni degli utenti di piccole reti di consumo più o meno indipendenti per non pagare i costi di sistema. Più sarà tecnologicamente fattibile staccarsi dalle reti, più sarà critico capire chi le paga e sulla base di quali parametri”.

In una intervista a e7, il nuovo settimanale di QE giunto ormai alla sua quarta uscita, il presidente di Aiget, Michele Governatori, affronta per grandi titoli i problemi più importanti del mercato elettrico nazionale tra avvicinamento all’Europa, sviluppo delle rinnovabili e avvento delle nuove tecnologie, come le super grid e le smart grid locali, che lungi dal risolvere le questioni, creeranno al regolatore nuove “grane da gestire”.

D’altra parte, sostiene, “il processo verso un mercato unico per certi versi avanza  (interconnessioni fisiche e contendibilità della loro capacità), per altri si complica a causa di scelte regolatorie diverse dei Paesi (per esempio nei mercati della capacità elettrica)”. E il “market coupling delle borse elettriche con le frontiere Ue pare stia procedendo secondo i piani o quasi, ma lascia per ora fuori i mercati del bilanciamento, importanti proprio in termini di opportunità per l’Italia”.

Secondo Aiget, in ogni caso, “conviene far emergere sui mercati i costi e il valore di ogni risorsa. È inevitabile che quando si ricevono sussidi di prezzo essi possono distorcere i mercati con effetti collaterali, tanto da ingenerare una potenziale “guerra”, o meglio un’escalation dei sussidi stessi. Lo sviluppo, nel power, di mercati della capacità potrebbe aiutare l’integrazione delle rinnovabili e credo che la loro responsabilizzazione riguardo agli sbilanci sia razionale indipendentemente dalla effettiva prevedibilità (il che non significa necessariamente che le Fer esistenti debbano pagare da subito tutti gli sbilanci)” spiega Governatori che, poi, chiude giudicando “perlopiù scandalosi i sussidi all’uso di fonti fossili, che in parte annullano l’effetto di quelli alle Fer e vanno in direzione opposta a ogni strategia esplicitamente espressa da Ue e Italia, ma questa è un’altra storia”.

Allargando lo scenario agli obiettivi europei in termini di efficienza, Ortis sostiene che “se vogliamo un vero spazio unico dobbiamo avere anche regole uniche”. E su questo aspetto l’Europa è “molto in ritardo” come ben si comprende anche dai quadri normativi e regolatori: “persino le prese di corrente, in Europa, non sono ancora unificate”. D’altra parte, aggiunge, “se riuscissimo davvero ad essere una voce unica, forte di 500 milioni di cittadini, avremmo pure una maggiore capacità di negoziazione nello scacchiere internazionale”.

L’Italia, in ogni caso, “dovrà mirare ad ottenere il massimo rendimento dal suo semestre, promuovendo meno protezionismi o nazionalismi e più integrazione ed unità interna europea, guardando anche agli interessi di un sistema Italia al centro del Mediterraneo”, si augura Ortis che poi si sofferma sui nuovi compiti del regolatore.

“Quando si iniziò a discutere di regolazione per la filiera acqua – ricorda – fui invitato a qualche audizione parlamentare. Già in quelle occasioni sostenni l’estensibilità a tale filiera del¬le competenze dell’Autorità per alcune evidenti affinità: anche il servizio idrico è un servizio a flussi in rete che va tariffato e regolato pure come qualità; ogni consumatore, da tutelare, ha tre contatori in casa (elettricità, gas e acqua), con interlocuzio¬ni e tipologie contrattuali simili; molti operatori si occupano simultaneamente delle tre concessioni…”.

“Detto questo, durante le stesse audizioni parlamentari, mi espressi contro altre ipo¬tesi di assemblaggi che fortunatamente non trovarono seguito: ad esempio tutte le reti insieme (trasporti e telefonia inclusi) o addirittura una sola autorità per ogni tipo di pubblico servizio. Da un lato si devono sfruttare le affinità, dall’altro i settori tecnicamente e funzionalmente ben distinti devono restare egualmen¬te distinti, specie come regolazione ex-ante e controllo” conclude Ortis.

Un Ministero per lo Sviluppo Sostenibile

“Immagino un Ministero e Assessorati regionali dedicati allo “sviluppo sostenibile”, con relative ricadute produttive, ricerca ed innovazione. Così si è fatto in altri Paesi ed in qualche regione, facilitando anche la proiezione internazionale”.

Così l’ex presidente dell’Autorità per l’Energia, Alessandro Ortis, nell’intervista che apre il nuovo numero di e7, il settimanale di QE giunto alla quinta pubblicazione. Secondo Ortis, che parla nella veste di Co-Presidente Commissione Economia dell’Assemblea Parlamentare del Mediterraneo, “è arrivato il momento di ripensare l’attuale organizzazione di governo per lo “sviluppo sostenibile”, cercando di integrare al meglio le attività per l’energia e la tutela dell’ambiente”. Una “governance” pronta ad affrontare un futuro da “green and white economy” sul fronte complesso dell’energia, dell’efficienza, della tutela ambientale, emissioni clima-alteranti incluse, in un’ottica di competitività e di maggiore occupazione.

Cyber-security, come si muove la Ue

La crescita delle reti intelligenti e la loro diffusione su tutti i territori europei apre diversi interrogativi sulla loro gestione, l’interoperabilità tra sistemi e la ricerca di standard condivisi. Ma per tutti questi interrogativi c’è un comun denominatore: gestire la sicurezza per la mole di dati che le nuove reti sono in grado di produrre e trasmettere.

Per far fronte a questo cambiamento, a Bruxelles è stato istituito un gruppo di lavoro denominato ‘Smart grid coordination group’: obiettivo, affrontare e stabilire i parametri entro cui si devono evolvere le reti intelligenti. L’iniziativa vede il coinvolgimento dei tre gruppi di interesse legati allo sviluppo delle infrastrutture: standard elettrici, telecom e IT. Laurent Schmitt, coordinatore del gruppo smart grid Information security, ne parla a e7 nel focus di apertura del nuovo numero.

L’Europa infatti ha iniziato da tempo un lavoro di coordinamento e dialogo tra diversi gruppi di interesse coinvolti nello sviluppo delle reti intelligenti. Lo Smart grid coordination group, spiega Schmitt, è strutturato secondo quattro filoni di analisi: standard; architettura di rete (proprio di recente hanno pubblicato uno documento interessantissimo denominato SGAM); sicurezza, interoperabilità, spiega Schmitt che, nello specifico, in quanto coordinatore del gruppo sulla cybersecurity, partecipa anche agli altri quattro board.

Per garantire appieno la sicurezza dei dati è necessario effettuare un corretto studio delle architetture di sistema, aggiunge ed è importante che le grid siano pensate in modo tale da evitare rischi dannosi per i cittadini e l’economia come blackout di sistema.

“Dobbiamo inventare tecnologie che ci proteggano da questi rischi e che siano in grado di fronteggiare anche nuove esigenze e a tentativi di danneggiamento o cattivo uso dei dati”, conclude il rappresentante Ue.

Multimeter, opportunità con qualche nodo da sciogliere

L’Autorità per l’Energia, con la delibera 393/2013, ha incentivato i progetti pilota sugli smart meter multiservizio, un intervento atteso da tempo da Federutility.

“L’iniziativa ha preso atto di due importanti aspetti: il sistema della misura per il mass market che si basa sulla radio frequenza in comparti quali il gas e l’acqua, non ha bilanci costi-benefici estremamente vantaggiosi, per cui è necessario provare a fare di tutto per contenerne i costi; l’applicazione di nuove tecnologie in settori regolati ha bisogno d’altra parte di un percorso condiviso, di un monitoraggio dei risultati e di una valutazione dell’efficacia, anticipando ed evitando fughe in avanti che rischiano di condizionare il settore” spiega in proposito Mattia Sica, direttore Area reti energia di Federutility, a e7, il settimanale di QE, sul numero in uscita.

Quanto ai nodi ancora da sciogliere,  il primo e più rilevante “appare quello relativo alla governance della struttura che l’Autorità ha immaginato doversi interporre tra il sistema dei meter e il sistema di reading del gestore”, spiega ancora Sica.

Un altro è di natura regolatoria. Se l’Autorità punta su una sistema multiservizio forse è il caso che non si impongano ad alcuni operatori, ovvero quelli della distribuzione gas per essere chiari, scelte gestionali complesse, giungendo fino a escludere, l’integrazione del sistema di misura adottato per il gas con quello multiservizio, e ciò prima ancora di verificare i risultati dei progetti, i cui esiti riteniamo che saranno positivi, aggiunge Sica.

Si pone poi un tema di ordine più generale ma di cui i distributori devono tenere conto, rappresentato dalla sicurezza dei dati.

Tra le opportunità, invece, quella di abbattere i costi dello smart metering. “Un sistema multiservizio efficiente consente di intervenire sia sui costi di investimento che su quelli di gestione propri dei singoli settori, pur con valori economici che differiscono comunque da quelli attuali”, sottolinea l’esponente di Federutility.

“Ciò che però vediamo come estremamente significativo nella partecipazione a tali progetti è la possibilità di contribuire a creare una leadership forse mondiale nel settore. Già a oggi l’Italia si caratterizza come un Paese tra i più avanzati nella telelettura dei consumi elettrici e gas. Avere la possibilità di presentarsi sui mercati internazionali con sistemi di misura multiservizio testati ed efficienti rappresenta una grande opportunità per il sistema Paese”, conclude.

Nasce e7 il settimanale di Quotidiano Energia

E’ partito e7, il nuovo settimanale di Quotidiano Energia che si propone come occasione per cogliere i trend del settore energetico e sviluppare scelte strategiche sulla base di benchmark internazionali.

“e7 rappresenta l’evoluzione e l’ulteriore completamento di quanto fin qui già espresso in termini editoriali da Gruppo Italia Energia, per informare in un settore determinante sotto il profilo dei costi per imprese e famiglie oltre che per una giusta attenzione al fattore ambientale” commenta il direttore responsabile di QE e di e7, Stefano Delli Colli.

Al centro del primo numero il tema, di grande attualità, delle Regioni italiane orientate ad un federalismo che favorisca la crescita green della smart city. Si parla anche di sostenibilità commentando i prossimi obiettivi europei al 2030 nell’intervista a Giulio Volpi, Direzione Energia della Commissione europea. Si affronta poi il tema dell’acqua con una video intervista a Mauro D’Ascenzi, vice presidente di Federutility, in vista del Festival dell’Acqua ormai alle porte. Per la rubrica “tre domande a”, Geoff Hatherick membro dello smart metering roll out team UK -DECC- chiarisce limiti e pregi dell’approccio al roll-out inglese. Infine approfondimenti su tecnologie e best practice.

Per leggere e7 è sufficiente accedere al sito dedicato https://e7.quotidianoenergia.it/ e scegliere il numero da visionare. La fruizione è gratuita.

La lettura è ottimizzata per tablet e pc, ma è fruibile anche su smartphone.

Blackout, quando si spense l’Italia

Alle ore 3.01 del 28 settembre 2003, un albero cade sulla linea ad alta tensione Lavorgo-Melten in territorio svizzero. Circa 29 minuti dopo l’Italia è al buio. E’ il primo blackout del sistema nazionale.

Sono passati 10 anni da quell’evento eccezionale e, parafrasando un detto popolare, è passata molta corrente lungo i cavi. Il sistema elettrico italiano è profondamente cambiato, anche se non mancano linee di continuità con il 2003. Il nostro Paese è ancora fortemente dipendente dall’import estero (una situazione che si ritrova anche nel gas, come le continue crisi di fornitura ci ricordano), mentre la repentina penetrazione delle rinnovabili impone nuove sfide, tecnologiche e gestionali, per garantire la stabilità del sistema.

La potenza disponibile nel nostro Paese è molto aumentata, ha sottolineato Gianni Armani, a.d. di Terna Rete Italia nell’intervista rilasciata a e7, il nuovo settimanale di QE, in occasione del decennale dell’accaduto, ma il rischio di rivivere la stessa situazione del 2003 “non è mai completamente azzerato, per le proprietà della rete”.

In quelle ore in cui molti italiani si ritrovarono non solo al buio ma anche senza la possibilità di usare elettrodomestici e molti treni si fermarono mentre gli ospedali vissero una situazione assai critica, Carlo Sabelli, nelle vesti di Direttore Dispacciamento dell’allora Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale, fu richiamato al centro di controllo nazionale per gestire l’emergenza. Oggi, da responsabile rapporti internazionali con Tso di Terna, ripercorre con e7 le fasi della crisi a cominciare dalla telefonata che lo svegliò. Dall’altro capo del telefono una voce concitata annunciò: “Si è spenta l’Italia”.

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