La via italiana per le tariffe idriche

Con l’arrivo per l’Autorità della competenza sul sistema idrico è stata avviata una grande riorganizzazione di un settore da tempo in attesa di regole chiare e anche investimenti. Il passo più recente in questo lungo percorso è stato fatto lo scorso 24 novembre con l’annuncio da parte dell’Aeegsi dell’approvazione, per la prima volta con metodo omogeneo in tutta Italia, delle tariffe 2014-2015 per l’acqua relative a circa 40 milioni di italiani.

Il nuovo numero di e7, il settimanale di Quotidiano Energia, si apre proprio con un’intervista al commissario dell’Autorità Alberto Biancardi, in cui si approfondisce il nuovo metodo adottato, gli affinamenti che arriveranno nel prossimo futuro e gli spunti che possono essere presi dalle esperienze estere.

Come descritto da Biancardi: “Abbiamo cercato di impostare criteri che intendiamo utilizzare a regime, ossia strumenti di buona regolazione già in essere anche in altri settori. Cerchiamo di standardizzare il più possibile i costi operativi e di far gravare in tariffa solo gli investimenti quando sono stati realizzati, introducendo, quindi, un controllo sui costi effettivi. In questo abbiamo traslato nell’idrico l’esperienza già maturata in altri settori”.

Non solo idrico ma anche tanta “intelligenza diffusa” in questo numero di e7, grazie al comparto della domotica protagonista nell’intervista a Fabio Luigi Bellifemine, direttore della nuova associazione di settore Energy@home; e grazie anche all’interessante mondo degli open data, approcciati dalla Regione Sardegna nella sua nuova “Open Data Strategy”.

Completano la rivista l’analisi dedicata all’iniziativa “Facciamo la E-Mobility” nata nell’ambito del progetto Ricarica intelligente per la Mobilità elettrica finanziato dal ministero dell’Ambiente, senza dimenticare le consuete rubriche.

Mobilità elettrica, arrivano le infrastrutture. Parla il Mit

Quali sono i principali elementi del Piano Nazionale infrastrutturale per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica (cd PNire)? e7 lo ha chiesto al direttore generale per lo Sviluppo del Territorio, la Programmazione ed i Progetti Internazionali, Maria Margherita Migliaccio, del ministero delle Infrastrutture e Trasporti.

Nel piano sono definiti i criteri e filoni per lo sviluppo di una rete di ricarica elettrica nazionale; i modelli di riferimento sui quali basare la diffusione delle infrastrutture di ricarica elettrica; le caratteristiche minime standard dei componenti del processo di ricarica e una Piattaforma Unica Nazionale con l’obiettivo di garantire uniformità e omogeneità delle informazioni. Grande attenzione all’interoperabilità e apertura verso tecnologie e modelli innovativi.

Di innovazione e ricerca si dicuterà anche nel corso della Set Plan Conference, evento europeo, promosso dalla Presidenza Italiana del Consiglio della Ue organizzato dall’Enea, con il supporto della Commissione Europea. Su e7 le prime anticipazioni con: Riccardo Basosi, rappresentante Italiano per l’energia al programma Horizon2020, Marcello Capra, rappresentante del Board Set Plan Conference per il ministero dello Sviluppo Economico e Federico Testa, Commissario Enea. Nel prossimo numero il dossier dell’evento.

Non solo innovazione in divenire, anche progetti realizzati. In questo numero parliamo del Comune di Milano, andando oltre le attività dell’Expo2015. Numerosi, infatti, gli interventi attuati dal capoluogo lombardo per rendere la città pienamente rispondente alle esigenze dei singoli utenti. Mobilità, trasporti, connessione wifi, riqualificazione edilizia, ne parliamo con Bruno Monti, responsabile sistema Informativo territoriale del Comune.

Anche la comunicazione è innovativa nell’energia. Quattro società del settore sono classificate nella top ten italiana del tredicesimo Webranking dell’agenzia internazionale Comprend. Indagine condotta nel nostro Paese dalla società di consulenza Lundquist Srl in collaborazione con Corriere Economia. Le quattro top sono: Eni al primo posto (già vincitrice nel 2008, 2009, 2010 e 2013); Snam al secondo (nominata “Best improver” per il maggior aumento di punteggio, +12,8 punti, rispetto all’anno precedente); Hera quarta (terza nel 2013); Terna sesta. Nel numero le consuete rubriche dedicate a efficienza e tecnologia.

Dal Set Plan i capisaldi del futuro energetico

“L’unione energetica è una fantastica occasione per accrescere la nostra competitività e richiede l’integrazione delle competenze di tutti i settori, da quello industriale a quello dei trasporti. Abbiamo raggiunto molti obiettivi, tra cui la riduzione delle emissioni dannose, ma c’è ancora molto da fare”. Alla VII Set Plan Conference svoltasi la scorsa settimana a Roma (un dossier nel nuovo numero di e7) è Dominique Ristori, Direttore generale DG Energia della Commissione Ue, a spiegare come i cambiamenti che stanno attraversando il settore energetico forniscono opportunità occupazionali e di benessere per l’Europa.

I temi all’ordine del giorno: integrazione dello storage in rete, gestione della rete di distribuzione, connessione tra diverse risorse energetiche del sistema – pensiamo ad energia e gas – e ruolo proattivo dei cittadini. Su questo il commento di Andreea Strachinescu Olteanu, Capo dell’unità nuove tecnologie energetiche, innovazione e carbone pulito della DG Energia – Commissione UE: “Il Set Plan guarda alle soluzioni innovative, a come introdurle nei mercati e a come ridurne i costi. Ma non possiamo dimenticare il consumatore, fondamentale in tanti processi e nel perseguimento degli obiettivi di efficienza energetica. Dobbiamo fare in modo che comprenda quanto può essere decisivo ed essere informato nell’energy system”.

Dal Set Plan ad Amici della Terra per parlare di luci e ombre dell’efficienza energetica e dell’emanazione, il prossimo anno, delle nuove linee guida per i certificati bianchi dal ministero dello Sviluppo. Diverse le ipotesi, tra cui anche quella di correlare l’incentivo non ai risparmi conseguiti ma agli investimenti effettuati, una possibilità che allarma molti soggetti di filiera. Due, invece, i target stabiliti dall’associazione considerando l’intensità energetica come nuovo trampolino per la competitività: un obiettivo del 15% al 2020 rispetto al livello del 2010 e del 25% al 2030.

Ancora normativa con la proposta di legge del Lazio “Interventi per la riconversione ecologica e sociale” che prevede l’istituzione di strumenti a sostegno di processi di conversione ecologica, destinati soprattutto a piccole e medie imprese in fase di pre-crisi. Pmi anche al centro della conferenza di presentazione di Anie-Confindustria: per l’internazionalizzazione si punta su formazione e innovazione tecnologica.

Chiudono il numero la rubrica Ege, “visto su” e le tecnonews di CanaleEnergia.

Mix energetico, quale ruolo per l’olio di palma

L’Europa ha come riferimento chiaro e condiviso tra i Paesi membri un ambizioso scenario di abbattimento della CO2, da raggiungere realizzando una maggiore integrazione nella rete delle fonti rinnovabili e un’ottimizzazione dell’efficienza energetica.

Tra le possibili risorse da impiegare per il bilanciamento del mix energetico, alcune sono poco utilizzate e una di queste è la produzione di energia da oli vegetali. Ma in precedenza grazie agli incentivi previsti l’Italia aveva investito in questa risorsa, come ricorda nel nuovo numero di e7 Marco Golinelli, presidente Italcogen, arrivando a installare 600 MW di capacità. L’idillio si interrompe nel 2007, con una nuova regolamentazione legata alle formule incentivanti. Così mentre in altri continenti la produzione da greggi vegetali è una realtà, l’Italia e l’Europa restano indietro.

Scelte di carburante o meno l’Europa non smette di pensare all’innovazione tecnologica, non è un caso che un focus della Set Plan Conference, abbia coinvolto lo stato dell’arte rispetto il programma NER300. Con le ultime due “call” (dicembre 2012 e luglio 2014) sono stati investiti 2,1 miliardi di euro a 38 progetti innovativi nel campo delle rinnovabili (bioenergie, solare a concentrazione, geotermia, eolico, fotovoltaico e smart grid) più uno per la Carbon Capture and Storage, suddivisi tra 20 Stati membri.

Come non manca l’attenzione al tema della mobilità intelligente, come vediamo in questo numero di e7, con il progetto Eco Automotive SYstem Integrator, primo caso europeo di reale integrazione tra il mercato automobilistico e quello dell’energia. L’attività prevede un accompagnamento nel processo di scelta, acquisto e gestione del veicolo elettrico e delle tecnologie utili alla ricarica, fino al post vendita e all’assistenza.

Quando si parla di mobilità non c’è solo l’elettrico anche la filiera del Gpl ha delle concrete opportunità nello Stivale. Nel numero le proposte della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, che lo scorso 16 dicembre in Campidoglio ha presentato i risultati della ricerca “Green economy e veicoli stradali: una via italiana”.

Per far crescere le rinnovabili non basta la tecnologia il vero ostacolo “è la burocrazia” rispetto alla quale “di viene fondamentale anche la formazione per creare figure professionali capaci di muoversi in questa situazione”. Come spiega Paolo Carcassi, segretario confederale UIL, in occasione del rinnovo del protocollo d’intesa tra il sindacato e l’Anev, firmato la scorsa settimana a Roma e sottoscritto ogni due anni già dal 2008.

Intanto l’Italia, come l’Europa procede verso la strada dell’efficienza energetica: vediamo se sarà un opportunità o un costo nel commento con Dario Di Santo, managing director Fire.

Isole smart: dall‘Europa all’Africa verso un modello condiviso

Trasformare le isole in realtà smart, autonome e sostenibili nel reperimento delle risorse primarie come energia ed acqua. Desalinizzazione, integrazione delle rinnovabili, recupero idrico: questi i temi al centro del convegno “Greening the islands” (organizzato da Lets’Agreen Network a Pantelleria nei giorni scorsi) a cui E7, il settimanale di QE, dedica la focus story di questo numero.

Da Stromboli a Mallorca fino a Capo Verde, Europa e Africa guardano allo sviluppo delle microgrid sviluppando soluzioni tecnologiche differenti e progetti pilota per rispondere alle esigenze peculiari dei singoli territori. Ma perché il sistema, piccolo o grande che sia, si evolva si devono ascoltare in modo olistico le diverse necessità espresse integrandole in un ecosistema più grande.

In questo contesto le interviste video a Maria Antonia Moreno Ceron, d.g. Industria ed Energia del Governo delle Isole Canarie, e Anthony O. Ighodaro, African Renewable Energy Alliance, raccontano le esperienze maturate dai propri Paesi.

Dall’Africa all’Europa, il denominatore comune sta nell’attenzione al “sistema” la cui progettualità deve essere di carattere internazionale o quantomeno pensata in scala a livello continentale.

Di questo avviso è anche Giuliano Monizza, vicepresidente di Anie Energia, che nel suo commento scrive: “Servono pochi modelli di mercato che portino sviluppo e non 28 modelli come il numero dei Paesi europei”.
Nel numero in uscita oggi si parla anche di chimica verde e bioraffinerie in un’intervista a Luca Lazzeri del Cra-Cin, il centro di ricerca per le colture industriali di Bologna che coordina il progetto “Valso” finanziato dal ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Lo scopo del programma triennale è quello di creare un sistema integrato di tecnologie per la valorizzazione dei sottoprodotti per la filiera del biodiesel quali la glicerina e le farine disoleate. Inoltre Lazzeri, che è anche il presidente del comitato scientifico di Chimica Verde Bionet, parla anche del progetto “Extravalore”, anche questo dedicato ai sottoprodotti della filiera del biodiesel, i cui risultati saranno presentati – insieme a quelli di “Valso – nei prossimi giorni a Ecomondo-KeyEnergy.

“Speriamo che i progetti passino e rimangano non solo le singole esperienze o risultati – dice Lazzeri – ma soprattutto le linee guida e l’approccio di bioraffineria”.

Parla di un’esperienza d’Oltreoceano, invece, l’intervista fatta ad Alfredo Cestari, presidente dell’omonimo gruppo, che in Brasile ha esportato la tecnologia made in Italy mettendola a servizio delle Telco del Paese. Il gruppo salernitano, infatti, oggi conta nel Paese sudamericano tre uffici e una struttura con competenze tecniche e costruttive in loco. Oltre a una commessa per Tim Brasile, infatti, la società ha operato anche per la Coppa del Mondo e sta lavorando con le istituzioni locali per l’elettrificazione di 56 isole nel nord del Paese.

Infine, un servizio dedicato al convegno di presentazione del progetto Eureka con gli interventi, tra gli altri, di Giorgio Riuscito (direttore di Orizzontenergia) e Federico Testa (commissario Enea).

Come di consueto il numero presenta le rubriche tra cui quella dedicata agli Ege con l’intervista a Maurizio Cusano energy manager presso i comuni di Guidonia Montecelio, Palombara Sabina e Aprilia.

Taglia-bollette e spalma-incentivi, due facce della stessa medaglia

Taglia-bollette e spalma-incentivi al centro della Focus story di apertura del nuovo numero di e7, da oggi online.

Sul primo punto, parlano per l’industria la Cgia di Mestre, Confcommercio, Confartigianato e il Coordinamento dei Consorzi energia di Confindustria.

Sul secondo, asso Rinnovabili, il Coordinamento Free, il Tavolo della Domanda ed il senatore del M5S, Gianni Girotto. Un panorama variegato quello che emerge dall’articolo con un’industria abbastanza divisa sugli effetti del provvedimento, i cui decreti esecutivi stanno muovendo i primi passi. Settore Fer dal canto suo in piena contrapposizione al Governo con la voce fuori del coro del Tavolo della Domanda secondo cui il “mercato elettrico non può essere ostaggio dei ricorsi”.

La pianificazione intelligente della città è stato invece il tema portante della European Utility Week, svoltasi ad Amsterdam dal 4 al 6 novembre.

Nell’occasione, e/7 ha intervistato Laurent Schmitt, vice presidente della divisione Strategia e Innovazione di Alstom Grid.

Cosa hanno in comune Berlino, Copenaghen, Madrid e Lisbona? Molto, se si parla di obiettivi di sostenibilità nell’ambito della gestione dei rifiuti solidi urbani sostiene un articolo che dà conto del confronto sul tema svoltosi a Rimini, in occasione della manifestazione Ecomondo per iniziativa di Federambiente. Centrale in particolare il tema del recupero energetico.

Infine, la questione dell’efficienza nella Grande Distribuzione tra nuove strategie e risultati in parte già ottenuti e in parte ancora attesi. E7 ha intervistato per l’occasione Alfio Fontana, Energy manager di Carrefour Italia, che illustra il programma strutturato per l’ottimizzazione energetica e la riduzione dei consumi che presenta target precisi al 2020.

Nel nuovo numero del settimanale di QE, anche le consuete rubriche tra cui gli Eventi in calendario e le TecnoNews di Canaleenergia.

Marionette senza burattinai, la solitudine delle tecnologie italiane

Densità diverse, dinamiche differenti. Nel mondo della mobilità il settore delle tecnologie e quello delle istituzioni sembrano avvicinarsi, confrontarsi, ma non incrociarsi. Passeggiando lungo le fila della meccanica italiana esposta allo Smart Mobility World, che si è tenuto nei giorni scorsi al Lingotto di Torino, si avverte una grande ricchezza di idee e innovazioni, ma anche la mancanza di una cabina di regia che coordini le fila regionali e locali. Spunti, riflessioni e approfondimenti che aprono l’ultimo numero di e7, il settimanale di QE.

E non si può parlare di tecnologie innovative senza affacciarsi al mondo del mercato: dal primo report europeo di USmartConsumer sullo stato d’im¬plementazione degli smart meter e sulla riposta dei consumatori, al tornello “intelligente” realizzato da Came Group per il controllo degli accessi fino all’Esposizione universale che si terrà il pros¬simo anno a Milano.

Crescita economica vincolata, anche, alla sicurezza energetica: perché quando si parla di sviluppo è inevitabile travalicare i confini nazionali. Con Sergio Pizzi, segretario generale dell’Assemblea parlamentare del Mediterraneo, si parla di centralità nel definire e raggiungere obiettivi comuni per la cre¬azione di un migliore ambiente politico, sociale, economico e culturale.

Europa e mondo: dalla Turchia più efficienza con TurSEFF, progetto presentato nella rubrica Ege, fino alla Colombia, dove il grande potenziale nelle rinnovabili assicurerà la vera crescita del Paese. Ma attenzione alle nostre risorse: il Massachusetts Institute of Technology sottolinea infatti la loro rarità.

Nel nuovo numero del settimanale di QE, anche le consuete rubriche tra cui gli Eventi in calendario e le TecnoNews di Canaleenergia.

Efficienza energetica: attenzione al combustibile del mondo

Opportunità di crescita e competitività, l’efficienza ha offerto all’Italia l’occasione di primeggiare a livello mondiale. A testimoniare l’eccellenza nostrana Avvenia e l’American Council for an Energy-Efficient Economy che le hanno, rispettivamente, assegnato il primo e il secondo posto nelle loro classifiche. La virtuosità del Paese, quindi, è ormai nota, ma gli stakeholder del settore sono coscienti del terreno franoso su cui si muovono?

Tra normativa in divenire e difficoltà di accesso al credito per aziende ed Esco è il settore residenziale che rappresenta il comparto a maggior potenziale. La formula vincente: una visione sinergica che mette in relazione competenze legate a diversi settori disciplinari.

Virtuosità che nelle città si traduce nella corretta gestione di merci e persone, favorita dalla figura del mobility manager che scopriamo con l’intervista a Luca Noris di Fcs Mobility, e nello sfruttamento dei big data, oggi oggetto di dibattito per i rischi connessi in termini di privacy.

Condivisione di dati che consentirà di diffondere informazioni sulle abitudini di consumo delle persone, dando luogo a strategie di marketing mirate, e che, attraverso i risultati dell’indagine sui cittadini europei per USmartConsumer, ha già permesso di capire come possono reagire i consumatori allo smart meter.

E mentre un anno sta per chiudersi noi guardiamo al futuro trattando il potenziale delle fonti rinnovabili che, stando al World Energy Outlook 2014, saranno protagoniste del nuovo installato nei prossimi decenni grazie allo sposalizio con la causa climatica mondiale.

Passando per le nuove tecnologie, frutto dell’unione tra il talento italiano e quello olandese, e gli scenari prospettati dal Water for the World. Chiudiamo con le consuete rubriche.

Il Patto dei sindaci parla italiano

2.479 Comuni firmatari nel nostro Paese su 5.300 nella Ue . Di questi, 1,980 hanno già redatto e consegnato il proprio piano d’azione (Paes). Il Patto dei sindaci si conferma un’esperienza italiana di successo.

Non un aspetto banale – sottolinea il focus di apertura del nuovo numero di e7 – perché questo piano è uno strumento fondamentale per valutare nel dettaglio lo stato dell’arte ambientale ed energetico di un territorio, al quale seguono le migliori azioni possibili per uno sviluppo sostenibile. Tutti elementi coerenti con il modello della smart city con cui il Patto può e deve fare squadra.

Volendo però andare oltre i numeri e comprendere quale sia lo stato dell’arte in Italia di questo importante programma comunitario, è opportuno definire quali siano gli ostacoli da superare affinché il percorso si compia in tutte le sue fasi. Una riflessione, questa, su cui si è dibattuto presso la sede dell’Enea (coordinatore nazionale del Patto), nel corso del convegno “Il futuro del Patto dei sindaci – impegni per il semestre di presidenza italiana del Consiglio Ue”.

“Il Patto dei sindaci è uno strumento da difendere e valorizzare – ha spiegato in apertura Federico Testa, Commissario Enea – evitando il rischio che possa divenire scarso di contenuti per alcuni comuni. Serve un coordinamento e una standardizzazione dei modelli”. Inoltre c’è da considerare che “temi tecnici come quello dell’energia sono spesso gestiti male non solo dalle piccole ma anche dalle grandi città. Creando unione tra comuni si ottengono invece risparmi e si standardizza. Il problema di fondo è quello del finanziamento”; non tanto per l’esistenza delle risorse, quanto per l’ordine minimo di grandezza, in termini finanziari, dei progetti ammissibili: “Facendo massa si può accedere a finanziamenti che hanno anche costi più bassi”; ed è questo, ad esempio, il caso della Bei.

Sulla questione dei fondi Riccardo Basosi, rappresentante italiano Energia per Horizon 2020, ha ricordato come questo programma da 78 miliardi abbia tre assi prioritari: “Scienza di eccellenza, leadership industriale e sfide della società”; in quest’ultimo rientra il campo dell’energia che, in particolare, allocherà circa 15 miliardi tra efficienza energetica, smart grid e filiere di settore.

Fondamentale per comprendere potenzialità e nodi da sciogliere anche il confronto con gli enti regione, coinvolti in numero crescente come coordinatori territoriali del Patto. Cristina Battaglia della Regione Liguria, ad esempio,ha rimarcato come nell’accordo di partenariato relativo ai fondi di coesione “non si prevede specificatamente il Patto dei sindaci”. Senza dimenticare il consueto problema della burocrazia nostrana: “Spesso gli iter per le varie iniziative rallentano i progetti”. Aspetti non secondari considerando che quello del Patto non è solo un tema di sostenibilità e ambiente, ma anche “di sviluppo economico e occupazione”.

Stefania Crotta, Regione Piemonte, ha aggiunto: “In generale, nel redigere i Paes, non sempre le potenzialità del territorio sono state inglobate, ma c’è stato a volte una sorta di copia e incolla”. In Piemonte, “data una regione di 1.200 comuni, non ha senso fare 1.200 Paes, occorre invece sfruttare l’opportunità dei piani congiunti”.

Maria Rosaria Mesiano della Regione Calabria, quindi, sottolineato il ruolo dei coordinatori nell’aiuto alle amministrazioni: “Abbiamo scelto di fare un bando con una dotazione di 5 milioni a favore di chi devo redigere il Paes e attivare sistemi di monitoraggio e gestione, con un occhio particolare alle aggregazioni nell’intento di massimizzare i risultati”.

Un percorso già di successo per la Regione Lombardia questo, come ha ricordato Mauro Fasano: “Sono 800 i nostri aderenti, per 5,9 milioni di abitanti. La Provincia di Milano con 80 comuni ha creato un progetto unico da 90 milioni di euro che ha ottenuto il finanziamento dalla Bei”.

Infine, Romano Giglio dell’Università di Pisa ha rilanciato la difficoltà con cui sarà possibile reperire fondi a sostegno dei progetti nei prossimi anni, come nel caso dei fondi di coesione: “È illusorio pensare di usarli per ottemperare quello che c’è scritto nei patti”.

Una problematica, infine, che sottende più i progetti che le specifiche tecnologie per attuarli, stando ai dati forniti da Marcello Capra del ministero dello Sviluppo economico: “Gli investimenti pubblici e privati nelle tecnologie del Set Plan – Strategic Energy Technology Plan europeo – sono cresciuti nella UE da 3,2 miliardi di euro nel 2007 a 5,4 nel 2010”.

In sommario, sul nuovo numero del settimanale di QE, anche: Smart Meter, controlli metrologici con le nuove regole per il contatore elettrico; Germania: Energiewende e storage, parla Philip Hiersemenzel, portavoce di Younicos; Il patrimonio come risorsa: ottimizzare i processi per riqualificare l’edilizia; Smart City. Trento: la città dell’innovazione; L’efficienza a 360 gradi, a colloquio con Aldo Iacomelli (assoEGE).

Efficienza ed utility: binomio vincente, basta volerlo

Apre le porte a Verona lo Smart Energy Expo. La fiera che avrà luogo fino al 10 ottobre sarà l’occasione per fare il punto su diversi aspetti legati al comparto industriale e sociale dell’efficienza energetica. Domani, nella stessa sede, sede sarà presentato l’Orange book, una indagine sullo stato dell’efficienza delle utiliy realizzato dalla fondazione Utilitatis, già autrice del Blue book dedicato al Servizio Idrico Integrato in Italia; del Green Book, sugli aspetti economici della gestione dei rifiuti e dello Yellow book in cui si analizza il servizio di distribuzione e vendita del gas naturale.

E7, il settimanale di QE, ne ha parlato con Federico Testa, presidente della fondazione e del Comitato scientifico dello stesso Smart Energy Expo oltre che presidente fondazione Utilitatis.

D. Da cosa nasce l’esigenza di realizzare uno studio sull’efficienza energetica nelle utility?

R. Siamo convinti che l’efficienza energetica sia strategica per il futuro, perché, come si usa dire ultimamente e in questo caso decisamente a luogo, fare efficienza è una cosa intelligente in quanto permette con le stesse risorse di ottenere di più. Nasce in quest’ottica l’esigenza registrata da Utilitatis di elaborare uno studio sul settore. Riteniamo difatti che il ruolo di una fondazione di studio sia prefigurare il futuro per dare stimoli agli operatori economici che vadano al di là della gestione del quotidiano.

D. Tra i dati emersi dallo studio ce ne sono alcuni che vi hanno sorpreso?

R. L’efficienza non ha solo lati positivi. La non completa replicabilità degli interventi, ad esempio, rende necessario per ogni azione la presenza di soggetti specifici. Per quanto si stiano facendo diversi passi in avanti per migliorare questo aspetto, è comunque un fattore che incide sulla scelta di intraprendere o meno delle azioni in merito. Altra difficoltà, questa volta più legata alla finanziabilità dei progetti, è la peculiarità stessa dell’efficienza energetica. Difatti, realizzare dei risparmi non produce flussi di entrata, questo complica il rapporto con le banche al momento di richiedere un supporto economico per realizzare gli interventi.
Mentre un vantaggio nell’implementazione di azioni di efficienza, oltre al risparmio oggettivo e la riduzione dell’impatto sull’ambiente, è che nel nostro Paese abbiamo la filiera industriale completa per realizzarla. Le imprese nostrane hanno tutte le competenze e le capacità per essere tra le prime al mondo, così da consentire forti ricadute sul tessuto di piccole e medie imprese nazionali in vari settori, come metalmeccanica ed edilizia.

D. Come hanno risposto le utility all’efficienza, sono preparate? E soprattutto sentono di averne bisogno?
R. Le imprese energetiche non sempre sono mature nei confronti dell’efficienza energetica. Difatti, come prima reazione, emerge il timore che “fare efficienza” voglia dire vendere di meno, mentre in realtà si tratta di vendere e far consumare meglio ai clienti; tale azione nel lungo periodo può solo che portare dei vantaggi.

D. Cosa fare quindi per trasmettere questo valore aggiunto alle imprese?

R. I momenti di confronto e di discussione sono importanti, come è necessario diffondere consapevolezza negli operatori e nei consumatori per far comprendere i vantaggi dell’efficienza. Il bisogno di informazione e diffusione delle conoscenze è una delle cose che emerge di più dall’indagine realizzata per l’Orange book, ma anche dalle consultazioni on line degli Stati generali dell’efficienza energetica che saranno presentati sempre a Verona.

D. Perché Verona come palco per la diffusione di queste iniziative?

R. Il Summit, la cui prima edizione è stata lo scorso anno, è diventato un punto di confronto importante, per l’Italia e forse anche per la stessa Europa, per discutere dei temi legati all’efficienza energetica. Il nostro obiettivo è riuscire a coniugare una visione più strategica propria del Summit ad aspetti più concreti che vadano a colmare quella che nei diversi articoli scientifici sul tema viene definito “efficiency gap”, cioè proprio la mancanza di consapevolezza reale sul tema. Ecco quindi “Gli stati generali sull’efficienza energetica”; la presentazione dell’Orange Book; le riunioni degli Energy manager e molti altri seminari su tematiche.

Efficienza, due ministeri a braccetto

Per fare efficienza servono “più cultura e consapevolezza, ma soprattutto regole chiare”. Così Ettore Riello, padrone di casa di Veronafiere, ha dato il via al “Verona Efficiency summit”, che si è svolto lo scorso 8-10 ottobre e del quale viene offerto un ampio resoconto sul nuovo numero di e7, il settimanale di QE.

La fiera, caratterizzata anche quest’anno da un’estesa area espositiva e un fitto programma di convegni, ha visto incontrarsi sotto lo stesso tetto l’intera filiera, dagli energy manager agli industriali, alla ricerca e alla politica. L’inizio, come detto, con il Verona Efficiency Summit, incontro internazionale che ha visto alternarsi sul palco: le Nazioni unite per lo Sviluppo industriale con il direttore generale Li Yong; l’Aie con il direttore esecutivo Maria Van der Hoeven; la DG energia della Commissione europea con il vice direttore dell’unità per l’efficienza energetica Claudia Canevari; l’Assemblea Parlamentare del Mediterraneo con Francesco Amoruso.

Tutti insieme per tracciare le linee di questa efficienza di cui molto si parla e poco si sa, come ha sottolineato Federico Testa, neo commissario Enea, in veste di direttore scientifico e mattatore del Summit, perché “sconfiggere l’efficiency gap” è complicato.

L’industria internazionale, con la presentazione di Li Yong, esprime una chiara presa di posizione: “Non dobbiamo effettuare una selezione tra crescita economica e clima, perché devono crescere insieme”. Per far ciò è necessario parlare di più di efficienza, ma soprattutto, sottolinea Li Yong, è strategica e fa la differenza una concreta sinergia tra Stato e obiettivi di efficienza industriali. Non è un caso, difatti, secondo l’Unido, che a oggi i paesi con maggiore sinergia di obiettivi verso l’efficienza siano gli stessi che hanno avuto una crescita più significativa.

A supporto di ciò i dati dell’Energy Efficiency market report dell’Aie, comunicati in anteprima dalla Van der Hoeven nel corso del Summit e diffusi ampiamente in questi giorni anche sui nostri mezzi, che identificano in 310 miliardi di dollari l’anno il mercato globale dell’efficienza energetica.

Numeri importanti a cui l’Unione europea non vuole far mancare i supporti necessari e le verifiche, come evidenziato da Claudia Canevari, e soprattutto numeri che i player industriali e dell’area mediterranea sono pronti a cogliere come esprime la presenza dell’Assemblea parlamentare del Mediterraneo e come sottolinea lo stesso senatore Francesco Amoruso.

Non manca all’appuntamento sull’efficienza energetica a Verona la politica nazionale. Il vice ministro allo Sviluppo economico Claudio De Vincenti partecipa, collegato via webcam, mentre il ministro per l’Ambiente Gian Luca Galletti presenzia alla seconda giornata.

Un intervento deciso e sintetico, quello di Galletti, un quarto d’ora di fuoco per un ministero che mai fino a oggi si era lanciato in considerazioni così innovative sulle proprie linee strategiche. Partendo dagli obiettivi ambientali al 2030 rispetto ai quali il ministro evidenzia: “Con la direzione italiana del semestre europeo vogliamo arrivare agli appuntamenti di Lima e Parigi con un accordo molto forte che sia di esempio agli altri Paesi, questo accordo ci impegna su tre pilastri: riduzione della CO2, efficienza energetica e rinnovabili”. Sottolineando come ci troviamo di fronte ad un bivio dove possiamo dilungarci in attese, rimandi e cambi di strategie oppure possiamo decidere di trasformare un problema in una grande opportunità economica per l’Italia. “Ci sono le condizioni per farlo” rassicura Galletti.

La chiave di volta è nella necessità di rispondere con regole chiare e scelte definite a quanto necessita per raggiungere gli obiettivi.

“Io vi devo dire quali saranno i filoni sui quali il Governo intende puntare” prosegue il ministro, rimarcando come la strategia industriale non sia fatta solo di incentivi, perché “se non c’è un piano di Governo l’incentivo non serve a nulla”.

Una volta stabilito lo scenario lo stesso Galletti evidenzia come “gli imprenditori italiani siano i più bravi a vendere, ma hanno bisogno di chiarezza, poca burocrazia e forse meno tasse aggiungo io” tra l’ovazione generale.

In tutto questo la ricerca e la formazione assumono un ruolo fondamentale, “questo è il compito dello Stato: investire in questi settori affinché si impegnino al raggiungimento (per l’industria, n.d.r.) di questo obiettivo”.

Per fare tutto ciò, il Paese ha bisogno di un salto culturale, ma soprattutto c’è bisogno di una ricerca che aiuti a valutare le decisioni ambientali strategiche che non devono più essere prese “facendo riferimento all’emotività del momento, ma su basi scientifiche!”.

Ultimo elemento del fitto discorso di Galletti è il cambio di paradigma, anche sull’aspetto fiscalità. Per cui si deve trasformare l’approccio del “chi inquina paga”, con un “chi inquina molto va in galera, altrimenti paga una sanzione, se non inquina avrà degli sgravi fiscali”.

“Voglio aiutare con il fisco chiunque mi aiuti a raggiungere gli obiettivi. Dobbiamo lavorare con l’Europa per cambiare questo paradigma”.

In collegamento via webcam, De Vincenti ricorda come all’incontro europeo dei ministri energia, l’efficienza sia stata l’elemento centrale di ogni prossima strategia. In quest’ottica la stessa “economia verde” non ha più un carattere settoriale, ma pervade tutti i processi produttivi.

Insomma dopo anni anche di confronti accesi, i due Ministeri puntano assieme a far uscire il Paese dalla crisi.

Smart city, poteva essere evitata la tragedia di Genova?

L’allerta meteo non ci sta lasciando. Dopo un’estate che ha visto la Capitale più volte allagata, riprendiamo con un autunno difficile nel nord e nel sud Italia. Ma hanno fatto soprattutto scalpore i fatti di Genova, città nota per l’avanzato programma di implementazione della smart city.

Come giustificare una tecnologia che non ha protetto è forse una delle accuse maggiori circolate tra la stampa. Ma noi che ci occupiamo di innovazione quotidianamente vediamo come non sempre l’evoluzione tecnologica e quella culturale e sociale seguano gli stessi ritmi. Possiamo quindi dire davvero che è tutta colpa della tecnologia o forse il problema è nell’affidarsi fin troppo a dei supporti esterni che ci stanno portando a non ascoltare più il buon senso?

E7, il settimanale di QE, ne ha parlato con Stefano Epifani, docente di social media management.

“Ci sono due considerazioni da fare: una di merito e una di metodo. Di metodo – sottolinea Epifani – perché spostiamo il problema sulla tecnologia, quando in realtà il problema è di processo. Se nessuno segnala alla App che è in corso una emergenza, la tecnologia non attiverà nessun sistema di avviso. È come dire che se una persona prende a martellate in testa un’altra la colpa è del martello… Il danno in questo caso è stato evidente perché, se in una città a rischio crei una falsa consapevolezza, per cui tranquillizzi sull’esistenza di una App che segnala i pericoli, le persone si sentono sicure in quanto non avvisate. Anche commettendo azioni altrimenti imprudenti”.

“In ambito del ‘merito’ la nostra protezione civile è storicamente molto restia a creare processi che coinvolgano in qualche modo i cittadini, terrorizzata di perdere il controllo di processi che tra l’altro gestisce pure male. Viviamo nell’epoca degli user generated content per cui i cittadini potrebbero creare una rete di sensori che generano informazioni”.

D. Se pensiamo a quanto è accaduto anche a New York, dove l’allerta meteo e le misure di emergenza sono passate ai cittadini tramite Twitter, vista l’impossibilità delle stesse utility locali a inviare un messaggio dai loro servizi, ci rendiamo conto che un processo rigido e verticale non ha la stessa potenza…

R. “Altro strumento usato è stato l’sms broadcast che arriva a tutti i numeri connessi in una determinata zona tramite la cella. Non serve neanche avere i riferimenti dei cellulari connessi.

D. Nel complesso forse il timore è la gestione del panico e l’eccessivo allarmismo….

R. “I meccanismi di allerta dal basso si stanno sperimentando in diverse parti del mondo. Possono essere filtrati e divisi in ufficiali e non. L’importante è dare un messaggio chiaro e definirne l’affidabilità”.

Energie convergenti: l’innovazione adesso rompe i confini

La regolazione del settore acqua affidata all’Autorità per l’Energia. L’avvio dei progetti pilota di smart meter multi servizio. La riflessione delle utility sul passaggio dalla fornitura di energia all’erogazione di servizi di efficienza. Se pochi indizi non fanno una prova, almeno alimentano il sospetto che il mondo dell’energia stia trovando convergenze sempre più strette tra filiere in precedenza molto distinte, soprattutto grazie all’innovazione tecnologica e alla rivoluzione dettata dall’Ict.

Aspetti che sono stati approfonditi la scorsa settimana a Bologna, in occasione della fiera “Accadueo” (che ha lanciato la sezione “Ciaccaquattro”), alla quale e7 era presente (online il nuovo numero). Oggetto di esame i settori gas, idrico e trenchless technology.
Cambiamenti in vista in particolare per i distributori gas.

In Europa e anche in Italia si continua a guardare al mondo dell’energia in prospettiva, scandendo il tempo e le strategie attraverso la soglia del 2020, del 2030 e del 2050. Di riflesso gli operatori di filiera sono protagonisti di una metamorfosi e anche di un’evoluzione legata all’innovazione tecnologica.

È questo il caso dei distributori, che nel settore del gas cominciano a intendere quel cambio di prospettiva (da fornitori di commodity ad abilitatori di servizi) che nell’elettrico appare già oggi più evidente.

Secondo Luciano Baratto di Anigas (intervenuto a Bologna nel corso di un convegno EnergyLab per la fiera Accadueo – Ciaccaquattro), “l’Ue intende un mondo dell’energia con il cliente sempre più al centro del mercato. In questo contesto il ruolo del distributore gas, ma anche dell’elettrico, cambia”. Allo stesso tempo il Consiglio dei regolatori europei (Ceer) ha inteso in alcune sue iniziative “il distributore come figura chiave verso il cliente”.

Dunque, alla luce di ciò, qual è il ruolo del distributore a breve e a lungo termine? “Deve mantenere l’alto livello qualitativo delle prestazioni – spiega Baratto – e deve essere messo nelle condizioni di farlo”; oltre a divenire “un player importante per smart grid e smart city”.

Affinché questa prospettiva si compia sono molte le sfide e le problematiche che oggi il settore è chiamato a superare. Basti pensare alla gestione tecnologica delle reti alla luce delle nuove immissioni autorizzate per il biometano e il ruolo crescente che assume in questo senso lo smart metering.

In secondo luogo, pressante è la riforma della distribuzione attraverso delle gare di affidamento che tardano a essere indette. Un processo che si svilupperà di pari passo con quello del roll-out smart meter, sottolinea Luigi Scamporrino di Assogas, rilevandone le influenze: “Quello dei contatori intelligenti è un processo impegnativo perché richiede investimenti quando c’è già una spesa per l’acquisizione degli impianti”; altro tema è la sicurezza dei dati: “Ad esempio nel passaggio da un soggetto gestore all’altro”.

Fabio Santini di Federutility, infine, ricorda come il settore oggi si trovi in una fase storica “in cui i consumi sono in calo e i livelli di morosità molto elevati”. Una problematica che interessa il distributore e che attende soluzioni anche tecnologiche di accertamento e verifica.

Energia e reti, torna e7

Dopo la pausa estiva mercoledì prossimo torna e7, il settimanale di QE, con una overview internazionale sul tema delle reti e la necessità di favorire un trasporto di energia più potente ed efficiente a livello globale.

Dal Cigre di Parigi, evento giunto alla sua 45.ma edizione in cui si confrontano i Tso mondiali (interviste a Massimo Rebolini presidente Cigre Italia e capo delle tecnologie di sviluppo di Terna servizi a rete; Alessandro Clerici, Cesi; Galileo Barbieri, Rte oltre a diversi ricercatori mondiali), alle tre domande a Michelangelo Celozzi, Med-Tso Terna fino all’inaugurazione del nuovo centro di test specializzato su linee a corrente continua realizzato dal Cesi in Germania.

Tra i temi degli articoli anche le opportunità per lo sviluppo delle ricerca e della nostra industria guardando all’Enea e all’Infn con le recenti dichiarazioni sullo shale gas e il progetto Juno.

Ancora: un servizio ai lettori con una sintesi delle ultime novità normative e regolatorie; l’impegno sull’efficienza con un progetto di architettura innovativo e la consueta rubrica con l’intervista all’EGE, l’esperto di gestione energetica.

La ripresa di e7 coincide con il lancio di una nuova partnership con IDC Energy Insight, che fornirà studi di settore e analisi su approcci tecnologici in ambito energy.

Linee elettriche, l’energia del mondo

L’elettricità è la forza del mondo. Solo le aree industrializzate dispongono di energia, ma chi ne dispone ne ha sempre di più bisogno. Per rendersi conto che le cose stanno davvero così è sufficiente guardare una mappa luminosa del mondo e vedere come le zone luminose coincidono con le più evolute sul piano industriale. Centrale quindi il ruolo dell’energia e da qui l’urgenza di trasportarla, riducendone, il più possibile, lo spreco da una parte all’altra dei Continenti.

Di questo si parlato al CIGRE (International Council on Large Electric Systems), l’evento giunto alla sua 45esima edizione, che si è svolto a Parigi dal 24 al 29 agosto. Un denso momento di incontro tra esperti di tutto il mondo per condividere temi e problematiche e comprendere, soprattutto dove e come procedere, alla luce delle innumerevoli best practices.

Quest’anno – si sottolinea nell’articolo di apertura del nuovo numero di e7, che riprende le pubblicazioni dopo la pausa estiva – le Tso mondiali si sono concentrate sulla risoluzione delle problematiche sviluppate dalla generazione distribuita e hanno affrontato i quesiti sullo storage e sui modelli di mercato. Un confronto tra esperti mondiali del settore per capire con quali regole migliorare il sistema della rete e quindi la qualità della vita. Il tutto, arginando gli effetti negativi delle energie alternative che talvolta sembrano rappresentare una maledizione piuttosto che un vantaggio.

L’edizione di quest’anno ha visto per la prima volta la pubblicazione di due volumi, definiti “i libri verdi”, dedicati rispettivamente alle linee aeree e agli accessori dei cavi. Con queste pubblicazioni, il CIGRE intende realizzare una summa tecnologica rispetto i temi affrontati dai diversi gruppi di lavoro in cui è suddivisa l’organizzazione.

e7, nell’occasione, ha raccolto diverse testimonianze dei protagonisti.

“Il CIGRE è una realtà no-profit che non ha carattere politico” ricorda il presidente di CIGRE Italia, Massimo Rebolini “ma come riunione di esperti delle reti che, includendo in ambito di comitati nazionali la distribuzione, le università e la ricerca, ha un concreto impatto sul sistema”.

L’organizzazione prevede un presidente e un segretario generale. Ogni Paese che partecipa all’iniziativa ha un suo presidente nazionale che siede nel Cda. Viene poi nominato un presidente dei comitati dei diversi gruppi di lavoro, con un ruolo di rappresentanza e di collegamento con gli stessi.

“Il tesoriere viene designato tra noi ingegneri ed è coadiuvato da una società di revisione dei conti e dallo staff del CIGRE, che è l’unica parte della struttura retribuita oltre al segretario generale”, aggiunge Rebolini. ” Per il resto le nostre partecipazioni sono supportate dalle aziende o, in qualche caso, anche autonomamente. Tutti pagano una quota di iscrizione i cui proventi sono suddivisi per l’80% al CIGRE a Parigi, il resto viene distribuito ai comitati nazionali”.

Attualmente sono iscritti 58 Stati. “Quest’anno anche la Turchia è entrata nel nostro network, il che rappresenta un’ottima opportunità anche per l’Italia proprio per la posizione strategica di questo Paese. La Turchia è collegata con la Grecia, da cui è possibile interconnettersi con tutti i paesi presenti sul Mar Nero come la Romania. Inoltre la rete elettrica turca confina a nord con la Russia, la Georgia, il Caucaso, ma anche con il medio Oriente quindi Iran, Siria, Cipro. Abbiamo una forte presenza cinese e indiana. Mentre tra le grandi assenti di questa edizione posso dire che registro con timore la mancanza del presidente della Libia. Sono personalmente preoccupato, questa assenza mi fa pensare a un Paese allo sbando, considerando che già dallo scorso anno non hanno versato la quota di iscrizione”, spiega Rebolini.

“Inoltre ho rilevato l’assenza di tutti i paesi del nord Africa, Siria, Algeria, Iran che in precedenza partecipavano. Questo è un segnale grave, disertare una associazione non politica ma di tecnici come la nostra indica una totale distanza dalle tematiche mondiali”.

“La forza del CIGRE – aggiunge – è che al suo interno sono rappresentati tutti i transmission system mondiali americani, australiani, canadesi e anche università ed enti di ricerca. Inoltre ai comitati nazionali partecipano attivamente tutte le maggiori imprese mondiali del settore elettrico, le ditte dei singoli paesi e anche gli operatori di distribuzione. Diciamo che abbiamo una forza politica, ma suffragata dalle competenze tecniche in tutti questi settori.

In Italia “abbiamo diversi gruppi di lavoro che affrontano il problema dell’energia rinnovabile rispetto la gestione della rete elettrica e della generazione distribuita. Nel mondo accademico lavoriamo perché le università diventino primo luogo di incontro tra le nostre menti e il resto del mondo. Abbiamo realizzato la “student membership CIGRE” per far accedere anche gli studenti di ingegneria in modo da preparali e stimolarli già con una visone globale. Crediamo molto nel potenziale di giovani leve istradate subito a pensare in ottica globale”, conclude.

Carbone, chi ci ripensa e chi no. E in Italia?

Storica tripletta negativa per il carbone in Cina: crollano consumi, import e produzione con il plauso convinto degli ambientalisti. Il Regno Unito intanto valuta se tagliare i sussidi alle vecchie centrali. India e Australia ripensano forse l’impegno. Ma di contro negli Usa il mercato non mostra sofferenze e si prevede una crescita dei consumi sia pur debole. E in Italia?

“La situazione nel nostro Paese è a dir poco tragicomica”, dice il vice presidente di Assocarboni, Rinaldo Sorgenti, a e7. ” Il nostro mix di generazione è assolutamente asimmetrico rispetto a quello degli altri Paesi avanzati e, per questa ragione, continuiamo a pagare un prezzo cronicamente più alto rispetto a quello dei nostri principali concorrenti. Il risultato? L’industria manifatturiera, già colpita dalla crisi economica, chiude i battenti e riapre all’estero portando via ricchezza dal nostro territorio”.

“A causa della nostra dipendenza dal gas, la crisi russa peserà sull’Italia molto più che sul resto d’Europa. Non possiamo pensare di sostenere la generazione elettrica solo con il solare”, commenta ancora. “Quando si arriva ad avere un contributo delle rinnovabili così alto nel mix – più alto addirittura che in Germania – allora è fondamentale che queste fonti, per loro natura intermittenti, vengano bilanciate e affiancate dalle fonti tradizionali con impianti avanzati e affidabili che consentano di poter disporre dell’elettricità sempre e quando serve, a condizioni ragionevoli e davvero sostenibili. Non possiamo rischiare improvvisi e costosissimi black-out della rete nazionale”.

“Per quanto riguarda la situazione internazionale, credo di poter dire che le notizie che vengono riportate da vari organi di stampa esteri circa un atteso minore utilizzo del carbone per la produzione elettrica nel mondo – spiega ancora Sorgenti al settimanale di QE – siano dovute alle diverse iniziative – spesso di matrice “ambientalista” – che continuano a speculare sugli argomenti che riguardano: i “cambiamenti climatici supposti antropogenici” e le “emissioni di CO2″ in atmosfera”.

“La realtà delle esigenze energetiche degli abitanti del pianeta e, soprattutto, l’indubitabile necessità per una larga componente dell’umanità, rappresentata da 1,3 miliardi di esseri umani dei Paesi poveri e sottosviluppati che ancora non dispongono della “banale” elettricità – sottolinea – comporterà che l’utilizzo e il consumo del carbone continui sensibilmente a crescere anche nel medio-lungo termine, per dare giusta ed opportuna risposta a tali ineludibili esigenze. Questo non vuol dire non riconoscere che una fetta consistente di impianti in esercizio nel mondo, e anche nei Paesi avanzati, sia rappresentata da impianti obsoleti e costruiti 40-50 anni fa con le tecnologie allora prevalenti”.

“Nei prossimi anni i Governi non potranno che tenere conto della necessità di difendere il benessere e proseguire lo sviluppo per le rispettive popolazioni, varando programmi che aiutino una più veloce dismissione dei vecchi ed obsoleti impianti per sostituirli con le Bat (Best Available Technology) oggi disponibili, che continuano ad utilizzare le fonti fossili e, in particolare, il carbone, a tutt’oggi ancora la fonte energetica più disponibile e meglio distribuita sul pianeta”, conclude il vice presidente Assocarboni.

Rifiuti: è ora di chiudere il cerchio

Quello dei rifiuti resta uno dei temi più controversi del nostro Paese, accompagnato da un paradosso singolare: la coesistenza di problemi e soluzioni, in assenza di una strada condivisa per metterli in una corretta relazione.

La nota gerarchia dei rifiuti europea, nata con la Direttiva di settore del 2008, stabilisce la logica da mettere in pratica, con le rispettive priorità d’impiego. Allo stesso tempo, non mancano neanche le tecnologie e i sistemi di riferimento, che in quanto a innovazione vedono spesso proprio l’Italia tra i Paesi più performanti.

Una delle difficoltà di partenza – si sottolinea in un articolo su e7, il settimanale di QE – sta nel panorama particolarmente eterogeneo per quanto riguarda la gestione dei rifiuti non solo in Europa, ma già all’interno della stessa Italia, con una scarsa propensione a istituire best practice replicabili, e con un’estrema facilità nel creare correnti di pensiero spesso prive di fondamenta scientifiche.

Ne è consapevole l’associazione Amici della Terra – che il prossimo 6 ottobre a Milano terrà una conferenza nazionale sui rifiuti dal titolo: “Chiudere il cerchio” – da anni impegnata sul tema. Come sottolineato dal presidente Rosa Filippini, “abbiamo cominciato a organizzare questo evento sei mesi fa, spaventati dalla realtà romana che non è in grado di provvedere ai propri rifiuti”. Un’emergenza di oggi che richiama l’operato del passato: “Già 20 anni fa – prosegue Filippini – avevamo messo in guardia dal trattare il tema su base ideologica, con atteggiamenti errati e non in linea con l’Europa, ad esempio demonizzando il recupero energetico”. Allora come oggi “sulla base dei dati, si poteva vedere chiaramente che i Paesi che meglio riuscivano a recuperare più risorse in materia di rifiuti erano gli stessi che recuperavano anche in energia”.

Passati 20 anni si constata invece un ampio ricorso alla discarica in Italia che, anzi, “nel frattempo ne ha anche esaurite molte mentre le preoccupazioni delle popolazioni sono cresciute. Non solo, si è creato un fortissimo divario tra sud e nord del nostro Paese. In tutto il Nord la tematica dei rifiuti urbani è stata affrontata e si sono moltiplicati attività come: differenziata, riciclo, recupero, soluzioni tecnologiche, impianti di smaltimento e recupero. Da Roma in giù, e in qualche caso con carenze anche in Umbria o in parte della Toscana, si è preferito non provvedere sulla base di alibi ideologici”, come nel caso del noto slogan: “Rifiuti zero”.

“Abbiamo comparato i dati sulla gestione rifiuti nei vari Paesi europei – dice a sua volta Marco Franceschini di Ref-E (realtà impegnata nello studio e nell’analisi del comparto) – interrogandoci su quale sia il ruolo dei vari modelli per giungere agli obiettivi che l’Europa ci dà. Inoltre, facendo riferimento al nostro Osservatorio energia, portiamo avanti lo studio della pianificazione regionale in materia di rifiuti, capendo se queste realtà territoriali stanno prendendo direzioni differenti”. In quest’ultimo senso le tendenze sono divise “tra chi sceglie di regolamentare maggiormente il settore e chi lascia più spazio al mercato”.

Guardando ai dati europei, “si conferma una situazione variegata nella gestione dei rifiuti urbani, con Paesi virtuosi dove le politiche hanno cancellato o quasi il ricorso alla discarica, valorizzando invece il riciclaggio e anche il recupero di energia”.

Occorre però considerare che nella prospettiva 2030 “s’intende massimizzare ulteriormente il recupero di materia – spiega l’esperto di Ref-e – con un possibile obiettivo in discussione al 70% – se non oltre -, mentre il restante 30% potrà essere oggetto di altre forme di trattamento alternative alla discarica, come a esempio la termovalorizzazione. In questo senso c’è poi da considerare che evolvono anche la tecnologia e le modalità di recupero energetico, ad esempio per la frazione organica con la produzione di biogas e biometano”.

Alla luce di ciò, ci si chiede che modello si adotterà nei Paesi meno virtuosi e in realtà come l’Italia, che si collocano in una posizione intermedia tra avanzati “ritardatari”. “In Europa le future scelte in materia di rifiuti dovranno tener conto anche di considerazioni circa l’efficienza complessiva del sistema di gestione, con una doppia prospettiva per coloro che sono in ritardo: sviluppare impianti propri o avvalersi della capacità di smaltimento per le eccedenza nelle realtà virtuose”.

Tante strade per altrettante soluzioni a un problema che, al momento, nell’immaginario collettivo sembra ancora senza via d’uscita.

Sul numero in uscita del settimanale, oltre alle consuete rubriche, anche un servizio sulla mobilità sostenibile a Roma; un’intervista a Jacopo Nardi, direttore commerciale Centro sviluppo materiali e un colloquio sul progetto sperimentale di Agsm Distribuzione su telettura e tele gestione gas con il direttore operativo, Paolo Dall’O’.

Cina, efficienza e sostenibilità. Come entrare nella città proibita

L’ accordo di giugno con l’Italia, siglato nell’ambito della collaborazione del comitato intergovernativo al momento della visita in Cina del presidente del Consiglio Matteo Renzi con il ministro dello Sviluppo economico Guidi in Cina , ha individuato cinque parametri di attività su cui l’industria italiana può proporsi al Paese della grande Muraglia e tra queste spicca lo sviluppo di una urbanizzazione sostenibile.

Diverse le eccellenze entrate nel mercato asiatico grazie all’ingegno architettonico nazionale e che stanno portando alla conoscenza dei nuovi clienti innovazione tecnologica e industria made in Italy.

Una opportunità che necessita comunque di una seria preparazione. La “partita” cinese difatti vede in gioco un confronto tra competitor internazionali assieme a differenze culturali notevoli. Come evidenzia nell’intervista di apertura del nuovo numero di e7, il settimanale di QE, Thomas Albert Rosenthal, responsabile sviluppo strategico e relazioni esterne della Fondazione Italia Cina: “Questo è un mercato di grandi opportunità, ma è un mercato difficile. Basti pensare che l’83% delle aziende non vanno a break even prima di tre anni, servono capitali e serve saperli gestire”.

Tra gli errori ricorrenti citati da Rosenthal: non avere un’ idea chiara rispetto alla “value proposition” dell’impresa, dotarsi di risorse umane con scarse competenze e prospettive internazionali, poca conoscenza dei supporti organizzativi, come l’agenzia per l’internazionalizzazione oltre alle scarse relazioni delle imprese nazionali che operano a livello mondiale.

D’altronde, come sostiene Massimo Roj, fondatore di Progetto CMR che nella “città proibita” è entrato sin dal 2002: “Grazie a questa opportunità, offerta da fattori contingenti, abbiamo avuto la possibilità di lavorare su scala urbana, progettando da zero e potendo dimostrare al mercato italiano che eravamo in grado di fare questo percorso”.

L’obiettivo è riportare identità urbanistica in una Cina che non ha più una storia tangibile: “Ogni dinastia, come il comunismo, ha raso al suolo tutto quanto prodotto dalla precedente. Il nostro piccolo sforzo è aiutarli a trovare una identità locale e regionale, mantenendo un’impronta asiatica -anche cinese- facendogli scoprire il concetto di città, al quale noi cerchiamo di apportare, dove possibile, anche tecnologie e qualità italiana.”

Esportare quindi non solo un progetto, ma l’ “oggetto finito” tutto made in Italy. Ecco la nuova sfida che efficienza e sostenibilità permettono di intraprendere. All’industria la capacità di coglierla.

D.Lgs efficienza, è l’ora dell’attuazione

Il D.Lgs per il recepimento della direttiva Ue sull’efficienza energetica è in attesa di sbarcare in Gazzetta Ufficiale per l’entrata in vigore. Ma si scaldano già i motori per la sua applicazione. E7, il settimanale di QE, ne ha parlato con Mauro Mallone, del Mse.

D. L’attività è stata più lunga del previsto, ma alla fine ha dato un risultato nell’insieme completo, anche se le diverse associazioni di categoria stanno già esprimendo i diversi pro e contro. Quali sono stati i nodi più duri da sciogliere?

R. “Il processo di recepimento è stato particolarmente laborioso e complesso in quanto la direttiva ha un impatto significativo sulle imprese, sulla pubblica amministrazione e sui consumatori ed è stato necessario trovare un punto di convergenza tra l’esigenza del Paese di traguardare gli ambiziosi obiettivi di efficienza energetica fissati al 2020 e gli interessi, spesso contrapposti, degli operatori del settore”.

D. Ripercorrendo velocemente i diversi punti su cui si sofferma il decreto, quali sono i prossimi passi da compiere?

R. “A breve dovranno essere emanati i provvedimenti per attuare le nuove misure di promozione dell’efficienza energetica introdotte con il decreto di recepimento e per migliorare gli strumenti già attivi come il conto termico e i certificati bianchi. Ad esempio dovrà essere attivato il programma di interventi per la riqualificazione energetica degli edifici della pubblica amministrazione centrale e dovranno essere definite le modalità di funzionamento del neo istituito fondo per l’efficienza energetica. Inoltre, sarà lanciato il bando per il cofinanziamento di programmi presentati dalle Regioni finalizzati a sostenere la realizzazione di audit energetici nelle Pmi”.

D. Rispetto agli strumenti di policy sembra che il decreto dia molto rilievo al meccanismo dei certificati bianchi.

R. “Certamente. Coerentemente con quanto previsto nella Sen, il meccanismo dei certificati bianchi è stato confermato come strumento principale per promuovere l’efficienza energetica nel nostro Paese e ci aspettiamo che esso contribuirà per oltre il 60% al raggiungimento dell’obiettivo di riduzione dei consumi di energia al 2020. Anzi riteniamo che il meccanismo debba essere ulteriormente innovato per renderlo più efficace e per semplificare l’accesso agli operatori”.

D. Dall’efficienza l’Europa si aspetta molto sia in termini di sostenibilità ambientale che di opportunità di lavoro e, quindi, di sviluppo industriale. Ma potrebbe anche essere una buona chiave per accelerare lo sviluppo di progetti relativi alle smart city?

R. “Anche l’Italia si aspetta molto dall’efficienza energetica che è stata inserita come prima priorità per il raggiungimento degli obiettivi della Sen. L’efficienza energetica, infatti, rappresenta lo strumento più efficace per l’abbattimento delle emissioni, per accrescere la sicurezza energetica e per stimolare un mercato dove le imprese italiane già occupano posizioni di leadership nel panorama internazionale”. Riguardo lo sviluppo delle smart city rappresenta un driver significativo. Infatti per rendere più “smart” le nostre città non si può prescindere dal promuovere l’efficienza energetica degli edifici sia pubblici che privati, degli impianti per l’illuminazione pubblica, dei mezzi di trasporto”.

D. Il tema del risparmio energetico è certamente molto vasto. Non sarà facile per il Paese riuscire a cogliere tutte le opportunità del settore. Vi siete posti il tema della divulgazione di buone pratiche?

R. “Assolutamente. Un principio ispiratore seguito nel recepimento della direttiva è stato quello di attivare strumenti “low cost” che potessero innescare meccanismi di sviluppo del mercato dei prodotti ad alta efficienza energetica e comportamenti più virtuosi da parte dei cittadini e delle imprese. Il decreto, ad esempio, prevede la realizzazione da parte di Enea di un programma triennale di sensibilizzazione articolato in base alle esigenze informative delle famiglie, degli studenti, dei dipendenti PA e delle imprese”.

Italia, percorso virtuoso nelle Fer

“L’Italia è un campione europeo quando si parla di sviluppo dell’energia da fonti rinnovabili, lo ha dimostrato senza ombra di dubbio nel passato e ci auguriamo che continui a mostrarlo anche in futuro. Ovviamente, ci sono una serie di sfide che il Paese dovrà affrontare, per le quali occorrerà trovare una soluzione. Ora stiamo assistendo a un acceso dibattito su questi temi; non vedo l’ora di vedere quali saranno i risultati che emergeranno da questo confronto”.

Questo il riconoscimento di Maria Van der Hoeven, direttore esecutivo dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, nel percorso verso la sostenibilità del sistema energetico che l’Italia ha intrapreso grazie alle fonti rinnovabili.

Incontrato da e7 a margine della presentazione al Gse dell’ultimo rapporto Aie (“The power of trasformation: wind, sun and economics of flexible power systems) (l’intervista è sul nuovo numero del settimanale di QE), Van der Hoeven spiega: “Oggi abbiamo lanciato uno studio sull’integrazione delle Fer con la rete nel quale viene enfatizzato come sia tecnicamente possibile avere un enorme quantitativo di questo tipo di energia nel sistema. La questione è sul come far funzionale il ‘market model’ dal momento in cui ci sono anche le rinnovabili, il cui contributo non si riduce solo all’abbassamento del costo dell’energia ma anche alla possibilità di rendere più stabile l’intero sistema elettrico”.

Un network sul quale pesa con i suoi effetti l’ascesa della capacità installata derivante da fonti non programmabili (o meglio, “meno programmabili”), previste in ulteriore aumento in vista del passaggio di ottobre che dovrebbe chiarire la strategia europea al 2030, grazie anche al contributo del nostro Paese: “Non vedo l’ora – prosegue Maria Van der Hoeven – di assistere al semestre italiano di presidenza. Io stessa in passato sono stata ministro – ha ricoperto la carica di ministro degli Affari economici nei Paesi Bassi dal febbraio 2007 all’ottobre 2010, ndr – e ho avuto modo di lavorare con i ministri italiani. Quello che posso dire è che sono molto determinati nel perseguire gli obiettivi e mi sembra che anche il primo ministro Matteo Renzi sia estremamente determinato quando si tratta di energia”.

Le rinnovabili sono dunque l’orizzonte certo dello scenario energetico europeo, ma con quali soluzioni intermedie? Ne abbiamo discusso con Paolo Frankl, capo divisione energie rinnovabili Aie, anch’egli presente all’evento presso il Gse.

“La conclusione più importante di questo studio – spiega – è che è possibile integrare grandi quantità di rinnovabili variabili come eolico e fotovoltaico, a condizione che tale sviluppo venga accompagnato da una vera trasformazione del sistema. Questo è anche il concetto del titolo del libro ‘The power of trasformation’. In sostanza, se si spingono molto le fonti rinnovabili di energia ma non si adatta il sistema, si determinano extra costi derivanti dalla mancata ottimizzazione. Se invece il sistema viene ottimizzato come dovuto, con molta più flessibilità dettata da risorse di flessibilità di quattro dimensioni – dall’offerta di elettricità dispacciabile, dallo stoccaggio, dalle reti e dall’integrazione della domanda – allora gli extra costi dall’integrazione di quantità anche molto grandi di eolico e solare sono limitati al 10 – 15%”.

Nel caso specifico dell’Italia occorre ricordare che il Paese “ha comunque più di 130 mila MW di capacità installata – prosegue Frankl – a fronte di una domanda di picco che, viceversa, è rimasta più o meno costante a 55mila. Quindi è evidente come sia presente una delle problematiche di quelli che noi consideriamo i ‘sistemi stabili’ laddove si spinge un’agenda di decarbonizzazione in un comparto elettrico che, in teoria, sarebbe già adeguato per far fronte al fabbisogno. Ciò rappresenta un problema. Da questo punto di vista l’Italia è in una situazione un po’ estrema, considerando anche la crisi economica e della domanda di energia che non cresce secondo le previsioni, rendendo qui le cose un po’ più difficili”.

L‘Italia e la sfida dell’efficienza

L’Italia potrebbe fare da capofila per l’efficienza energetica in Europa e invece rischia di perdere quasi 1,5 miliardi di euro messi a disposizione dai fondi infrastrutturali per gli edifici intelligenti. Una situazione che preoccupa Monica Frassoni, presidente di EU-Ase (l’alleanza europea per l’efficienza energetica) che ha recentemente inviato due missive (una al ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti in vista della Consiglio informale Ue del 17 luglio scorso, l’altra al nuovo presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker) per rinnovare la richiesta di affiancare al target di riduzione delle emissioni di CO2 un obiettivo vincolante per il risparmio energetico del 40% nel pacchetto clima-energia al 2030.

“Finora il governo italiano non ha mostrato attenzione per l’enorme potenziale economico che ha l’efficienza energetica e, più in generale, l’innovazione tecnologica nel campo della sostenibilità” dice Frassoni nell’intervista pubblicata nel nuovo numero di e7, il settimanale di QE.

“Purtroppo – prosegue – fino ad oggi la discussione sugli obiettivi al 2030 è stata falsata dai miti che ancora si raccontano sulle questioni energetiche: le rinnovabili hanno alzato il prezzo dell’energia, l’efficienza

è un costo che non possiamo permetterci e così via. Dobbiamo ripartire da dati reali e numeri veri per impostare un percorso serio che si basi sui fatti e non sulle dicerie”.

Un esempio? Il costo dell’energia non è un elemento penalizzante per le industrie europee in termini di competitività con quelle statunitensi: “La stessa Commissione Ue, nell’impact assessment che accompagnava i lavori per il Pacchetto 2030, ha ammesso che se si prende l’energia come parametro di valutazione della competitività le nostre industrie e quelle Usa sono allo stesso livello. Non dico che il problema non esista ma sono sbagliati i termini in cui viene affrontato. L’energia ha un costo diverso ma la bolletta pagata dalle nostre industrie è (in media) la stessa pagata da quelle americane, solo che il manifatturiero europeo è di gran lunga più efficiente e quindi consuma meno energia. A questo aggiungo che non è vero che abbiamo raggiunto il massimo ottenibile in questo campo perché, come dimostrano molti studi internazionali e non ultimi quelli dell’Agenzia internazionale per l’energia, abbiamo ancora un margine di miglioramento del 20-25%”.

Al settore, spiega il presidente, altro non serve che un quadro normativo chiaro, coerente e, possibilmente, più “coraggioso” del D. Lgs di recepimento della direttiva UE recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri: “Il settore privato è pronto a investire in progetti di efficienza energetica e a fornire le risorse per generare un effetto leva sugli investimenti pubblici. I fondi ci sono: nell’ambito delle risorse finanziarie comunitarie che la futura programmazione 2014-2020 mette a disposizione dell’Italia (circa €32 miliardi), circa €7 miliardi vincolati ad azioni a sostegno della low carbon economy potrebbero essere allocati per interventi di efficienza energetica. Quello che ci serve è un quadro normativo coerente per sbloccare gli investimenti”.

In questo numero di e7, tra l’altro, la riflessione scaturita dal convegno promosso dalla Cgil per parlare di scenari energetici al 2030 e la storia della “eco-casa” salita sul podio del Solar Decathlon Europe 2014. E ancora, la rubrica dedicata agli Ege, l’intervista a Simone Lo Nostro (responsabile marketing, supply e vendite corporate di Enel Energia) e il progetto di teleriscaldamento “smart” di Torino.

Metrologia, l’attenzione di Unioncamere

L’attenzione di Unioncamere ai contatori di acqua e calore non è una novità in assoluto, dato che parliamo di una esperienza consolidata dal 1998, recentemente ribadita da una legge di riforma che ne ha confermato e rafforzato le attività. In questo scenario la direttiva Mid, da cui prende le mosse il regolamento sui contatori di acqua e calore emanato da Unioncamere in questi giorni, vede accrescere il ruolo delle Camere per l’aspetto di verifica ma anche per le competenze di supporto e il processo di accreditamento.

E7, il settimanale di QE al suo ultimo numero prima della pausa estiva (il prossimo è in agenda il 10 settembre), ne ha parlato con il vicesegretario generale, Tiziana Pompei.

D. Il settore idrico sta vivendo un’importante attenzione con il recepimento della direttiva acqua e calore. In merito al Decreto n. 155/2013, quali sono le maggiori novità che vedono il sistema camerale come protagonista?

R. “Questo regolamento prevede diverse novità per le Camere rispetto l’implementazione degli strumenti e riguardo l’attività vera e propria di vigilanza del mercato. Rispetto le verifiche, poi, le Camere di commercio dovranno svolgere una serie di controlli metrologici casuali successivi alla commercializzazione ed effettuare la vigilanza sugli organismi già rilevati da questa ispezione. Ma la novità più rilevante riguarda l’Unioncamere che acquisisce un potere di riconoscimento degli organismi di ispezione che eseguono la verifica periodica. Per questo incarico abbiamo strutturato un apposito ufficio per la valutazione dei certificati di inizio attività, così da assicurare assistenza e velocità alla esecuzione di tale mansione, anche in considerazione dell’impatto che questa ha sull’organizzazione delle attività.”

D. Qual è l’impegno di Unioncamere per agevolare l’attività di impresa ed in particolare di quelle aziende che intendono svolgere la verificazione periodica sui contatori di acqua e calore?

R. “Il sistema camerale ha dato una impostazione di tipo propositivo. Di fatto ci siamo voluti impegnare per essere da supporto informativo alle imprese, soprattutto di carattere preventivo rispetto le regole da rispettare e su quali indicazioni è meglio seguire. Ci proponiamo per fornire una collaborazione importante anche in fase di esame della Scia, così da velocizzare, e i numeri ci danno ragione visto che riusciamo ad evadere le pratiche in 50 giorni, rispetto i 60 previsti, sempre con un approccio di controllo e di garanzia di sviluppo di queste attività. Tutto ciò ha portato alla lavorazione di 103 Scia di cui 84 con esito positivo. Con lo stesso impegno ci dedichiamo ai contatori come ad altri strumenti: bilance, carburanti e misuratori gas”.

D. Quali sono i punti di forza e quelli di debolezza?

R. “Direi che siamo di fronte ad un bilancio sostanzialmente positivo. Posso identificare come punti di forza certamente l’approccio propositivo di cui parlavo prima e che più ci distingue dall’essere solo un organismo di vigilanza. Abbiamo investito in questo settore con uno sforzo su diversi livelli: culturale, formativo e organizzativo. A livello formativo c’è stata una attività importante verso le imprese e gli utenti metrici, mentre sul piano organizzativo e culturale l’attenzione è stata posta su tutto il sistema camerale (non solo Unioncamere), il che segna, secondo noi, una netta differenza di approccio e attenzione per gli interlocutori del servizio”.

Indovina chi è il consumatore

In questi ultimi mesi i consumatori sono stati sempre più al centro delle discussioni nel settore energia. Il tema è: perché così pochi passaggi verso il mercato libero.

In molti non si spiegano il fenomeno. C’è chi accusa l’elettrone di essere poco “caldo” (canaleenergia.com), chi indaga e valuta il profilo del consumatore, chi si domanda se il dato sia frutto della difficoltà o scarsa chiarezza nell’effettuare il passaggio alle nuove gestioni contrattuali.

Questo il dossier di apertura del nuovo numero di e7, il settimanale di QE, che vede tra i temi centrali anche il punto di vista delle utility come piattaforma strategica per lo sviluppo di un nuovo rapporto con la clientela. A rispondere alle domande E.ON, Iren e Acea.

Ma non si possono non considerare le dinamiche dei consumatori che a volte si muovono, e anche bene, secondo scelte di piena consapevolezza. Tracciare il profillo della nuova casalinga di Voghera, del resto, non è facile ma possibile. Ci ha provato l’Acquirente Unico che ha individuato un interessante discrimine: il prezzo che non è tutto. Così si confermano iniziative come quella citata da “Altroconsumo”, in cui notorietà del prezzo e soprattutto chiarezza e semplificazione del rapporto fanno, alla fine, la vera differenza.

Efficienza: potenziale inespresso ancora enorme

Il potenziale inespresso del settore efficienza energetica in Italia è enorme e, se esplicitato, potrebbe rappresentare un’opportunità di crescita economica per l’industria (e non solo) del Paese, ancora aggravata dagli effetti della crisi economica.

Mentre proseguono i lavori sul D.Lgs efficienza e le consultazioni sul Paee 2014 predisposto dall’Enea, si torna a discutere sugli ostacoli che ancora gravano il settore. L’occasione è stata la presentazione dell’indagine di Ref-E sull’installazione di tecnologie per la climatizzazione residenziale tenuta la scorsa settimana al Gse e aperta dall’intervento di Costantino Lato (direttore studi, statistiche e servizi specialistici del Gestore), che ha tracciato le linee guida per il dibattito che è seguito. Se ne parla sull’articolo di apertura del nuovo numero di e7.

Normativa, incentivi, quadro regolatorio incerto: ancora una volta gli operatori tornano a chiedere maggiore stabilità e supporto (economico ma non solo) per un comparto che può dare tanto sia per il raggiungimento degli obiettivi comunitari della Energy Road Map che per rilanciare un comparto importante dell’industria nazionale.

A dimostrazione di questo potenziale ci sono i numeri di Confindustria che, nell’ambito dello Smart Energy Project, ha analizzato l’impatto economico per il periodo 2014-2020 e ipotizzato un incremento della produzione industriale di 65 miliardi di euro e di oltre 500.000 unità lavorative a cui si aggiungono i benefici sul bilancio dello Stato per un rapporto di 1 a 4 (per ogni euro investito se ne generano 4 in termini di beneficio collettivo).

Una partita che vale la pena giocare e vincere. Ma quali sono le azioni da mettere in campo?

Confindustria ne propone quattro: superare l’approccio congiunturale con cui vengono affrontate queste tematiche, creare accordi di filiera integrati per aumentare la penetrazione sul mercato, lavorare sulla standardizzazione dei progetti e delle tecnologie e, infine, chiedere alle istituzioni europee una deroga ai Patti di Stabilità per gli investimenti fatti per promuovere azioni nel campo della sostenibilità.

Non aiuta, ha spiegato Ilaria Bertini, responsabile aggiunto Utee dell’Enea, il fatto che lo stato dell’arte di questo settore non sia completo: la collaborazione in questa direzione – sia nella raccolta dati che nella loro estrapolazione e analisi – è fondamentale per poter svolgere quell’attività di “consulenza” per l’elaborazione delle strategie nazionali.

“Nello schema di decreto (sull’efficienza) attualmente in discussione in Parlamento, vengono affidati all’Enea una serie di compiti nell’ambito della raccolta dei dati di consumo energetico, anche di combustibili, della PA. A questo si aggiunge l’obbligo per le Regioni di comunicarci i loro dati di consumo disaggregati e l’attività di certificazione degli audit energetici delle grandi industrie energivore (obbligo introdotto dalla recente normativa) nel caso in cui questi vengano redatti da soggetti esterni. Tutto ciò forse ci aiuterà a superare un grosso difetto che abbiamo in Italia: non registrare quello che facciamo”.

Dal punto di vista del mercato, prosegue il funzionario dell’Enea, c’è un’altra lacuna da riempire: “Negli ultimi anni l’Italia ha fatto grandi passi avanti sia nella normativa, che si sta allineando con le direttive europee, che dal punto di vista tecnologico/industriale, in cui il Paese vanta delle punte di eccellenza e una qualità molto elevata. L’aspetto su cui dobbiamo concentrarci ora – conclude – è da un lato la sensibilizzazione dell’utente/cittadino e, dall’altro, la formazione delle categorie professionali. Dobbiamo lavorare per rafforzare e ‘ricucire’ il rapporto tra questi due soggetti: consumatore consapevole e professionista responsabile”.

Le aziende, dal canto loro, potrebbero essere disposte ad assumersi i costi della formazione degli operatori ma a fronte di una comunicazione “istituzionale” che massimizzi gli strumenti messi in atto per supportare il settore.

L’inconsapevolezza o la disinformazione dei consumatori rischiano, secondo Flavio Borgna (Ariston Thermo), di vanificare gli strumenti incentivanti messi in campo: così, se da un lato le detrazioni fiscali hanno dimostrato di essere una misura valida e ben sfruttata dai cittadini, il conto termico, dall’altra, soffre di un’eccessiva complessità che ne ostacola la fruizione diffusa.

Superare l’inerzia sociale, secondo Fernando Pettorossi (CoAer), non sarà facile: in passato sono serviti degli shock per poter influenzare la consapevolezza dei cittadini. Un ruolo importante in questo senso sarà giocato dalle Esco che sono i soggetti più adatti ad affrontare alcune problematiche in ragione della loro maggiore disponibilità di informazioni e “sensibilità”.

Diversa la visione di Enel Energia: “Negli ultimi anni stiamo assistendo a un cambiamento dei trend di consumo – spiega Fabio Tentori – che deriva dalla trasformazione dell’utente in cliente sempre più dinamico”.

Si apre così il nuovo mercato dei servizi per l’efficienza energetica finalizzati non solo ai consumi, prosegue Tentori, ma anche al miglioramento della qualità della vita.

La nascita di servizi “all inclusive” e l’avanzata del nuovo profilo del “prosumer” hanno avuto come effetto la “disaggregazione” della catena del valore, ha spiegato Giulio Ciccoletti di Assoelettrica: dove prima c’era un soggetto per ogni step della filiera, ora si trova una “nube di servizi”.

Il problema è che l’evoluzione del mercato deve fare i conti con una politica energetica datata anni ’70. Il riferimento è al principio di progressività della tariffa che, come ribadito da Pettorossi, “aveva senso all’epoca dello shock petrolifero del ’73” ma che oggi non è più attuale.

Occhi puntati, quindi, sulla sperimentazione della tariffa D1, le cui modalità attuative sono state approvate e rese note nelle scorse settimane dall’Autorità per l’Energia.

Paee 2014, l’efficienza non è una bolla

Si è conclusa oggi la consultazione pubblica sul Paee 2014, il Piano di Azione per l’Efficienza Energetica predisposto dall’Enea con cadenza triennale come previsto dalla direttiva 2006/32/CE. E il commissario Enea, Giovanni Lelli – rispondendo alle domande di e7, il settimanale di QE – si dice ottimista per il futuro dell’efficienza energetica nel nostro Paese: “Abbiamo costruito un settore sostenibile non distorto dagli incentivi. Resisterà alla ripresa dei consumi”.

Il documento, redatto singolarmente da tutti gli Stati membri dell’UE, stabilisce modalità e strumenti volti a raggiungere gli obiettivi di efficienza energetica agendo in maniera trasversale su vari settori – dall’edilizia ai trasporti, dall’industria al terziario – coinvolgendo sia il pubblico che il privato.

Guardando il quadro di insieme ne esce un’immagine frastagliata, composta da molteplici provvedimenti e linee d’azione: “Non potrebbe essere diversamente – spiega il commissario Enea – perché questa è la caratteristica peculiare dell’efficienza: interessa tutti i settori in maniera trasversale siano essi famiglie, enti pubblici o aziende private. La frammentazione non è una debolezza ma è la vera forza di questo comparto che può e deve essere un ‘bullet’ nell’arsenale dell’economia italiana”.

Gli obiettivi al 2020, in linea con quanto previsto dalla Sen, prevedono la riduzione annua dei consumi finali di energia pari a circa 15,5 Mtep (20 Mtep di energia primaria) distribuiti in diversi settori. In termini di emissione di CO2 evitate, l’effetto del pacchetto di misure predisposte dovrebbe essere un taglio (entro il 2020) pari a 50-55 Mt/a (considerando un fattore di emissione medio del parco elettrico nazionale di circa 350 grammi CO2/kWhe al 2020).

Nel dettaglio, i maggiori contributi sono attesi da industria (7,14 Mtep/a), trasporti (6,05 Mtep/a) e residenziale (5,14 Mtep/a) mentre il contributo del terziario non dovrebbe superare la quota 1,72 Mtep/a.

Attualmente, secondo i dati elaborati dall’Enea, l’Italia ha raggiunto poco meno del 15% del target fissato: la strada da fare è ancora lunga, soprattutto per i trasporti, fermi a quota 4% contro il 25,9% del residenziale e il 22% già fatto dall’Industria.

“Le aree di intervento su cui agire sono ancora molte – spiega Lelli – se nel campo degli elettrodomestici abbiamo raggiunto ottimi risultati, nel residenziale c’è ancora molto da fare”.

Una mano, finora, è stata data dalla congiuntura economica che ha provocato un crollo della produzione industriale e dei consumi energetici ma anche, più in generale, dalla diffusione di una cultura del risparmio energetico tra i cittadini dovuta (in parte) alla necessità di contenere le spese. Viene spontaneo chiedersi, allora, cosa succederà una volta che la crisi sarà passata, non tanto per i consumi industriali quanto per quelli domestici. Nel momento in cui inizierà la ripresa, l’Italia sarà ancora in grado di rispettare gli impegni presi in sede europea?

“Ci auguriamo tutti una ripresa dell’economia nel breve periodo – sottolinea Lelli – anche se questo potrà rendere più difficile il percorso verso i target stabiliti. Credo, però, che l’aumento dei consumi per il ‘ritrovato’ benessere economico sarà comunque sterilizzato in parte dalla presenza di servizi e sistemi efficienti. Quello che mi rende ottimista è che, in questi ultimi anni, abbiamo assistito alla creazione ‘sostenibile’ di un mercato dell’efficienza che non è stato distorto dalla presenza di incentivi lato offerta. Non si è trattato di una ‘bolla’ e non si sgonfierà con la ripresa dei consumi”.

D’altro canto, la consapevolezza del consumatore è un obiettivo ben chiaro per l’Agenzia: “Se normativa e tecnologia – spiega infatti Ilaria Bertini, responsabile aggiunto dell’Unità tecnica Efficienza Energetica dell’Enea – sono, ormai, ben avviate, molto resta da fare dal punto di vista della comunicazione e dell’informazione ai cittadini”.

Non a caso, prosegue il responsabile Enea, nello schema del D. Lgs per l’attuazione della direttiva 2012/27/Ue che il Parlamento sta valutando viene affidato all’Agenzia un programma di comunicazione triennale. “È un canale fino a oggi trascurato che abbiamo intenzione di ‘aggredire’ con iniziative di formazione e comunicazione nuove che si affiancheranno a quelle portate avanti sui canali tradizionali”.

Il Paee 2014 ora dovrà essere approvato dal ministro dello Sviluppo economico, di concerto con il ministro dell’Ambiente, d’intesa con la Conferenza Stato – Regioni – Province autonome e, successivamente, sarà trasmesso alla Commissione europea.

Microgrid, perché non cominciare da un’isola

La logica delle microgrid rappresenta uno dei futuri possibili in cui smart grid e generazione distribuita possono trovare un giusto bilanciamento tra fonti alternative, storage e reti. In quest’ottica presentare all’Europa un’isola di medie dimensioni in grado di rispettare il proprio habitat usando il più possibile energia pulita, nel rispetto della natura e senza sprechi, rappresenterebbe un bel primato ambientale e un sicuro richiamo turistico per l’Italia. In tal senso è già in corso un progetto per “l’Elba isola sostenibile” che vede coinvolti gli otto comuni dell’isola e a coordinamento la Provincia di Livorno, con cui è stato presentato un Paes corale all’Unione europea. E7, il settimanale di QE, ne ha parlato con l’assessore provinciale alle Politiche ambientali ed Energia Nicola Nista.

“Il progetto ha l’obiettivo di portare l’Elba a diventare un’isola a zero emissioni. Gli otto Comuni elbani, con il coordinamento della Provincia di Livorno, si sono impegnati a ridurre le emissioni di CO2 al 2020 almeno del 30% rispetto al 2004, scelto come anno base di riferimento. Ciò si traduce in termini numerici in un abbattimento di circa 80.000 ton di CO2 al 2020 rispetto all’anno base”, spiega Nista.

“Come è logico il Paes è stato lo strumento che ci ha permesso di individuare il potenziale del territorio e fissare un obiettivo di riduzione delle emissioni climalteranti – aggiunge – il passo successivo sarà quello di sviluppare nel dettaglio il parco progetti dal punto di vista tecnico, così da valutare approfonditamente anche gli aspetti economico-finanziari. Nel Paes dell’Isola d’Elba sono contenute le valutazioni tecniche ma anche economico-finanziarie per un parco progetti di circa 20 milioni di euro d’investimento, la cui realizzazione è il primo step dal quale proseguire per rendere l’isola una comunità “smart”.

Rispetto al trasporto marittimo sappiamo come il combustibile navale sia inquinante e, per quanto il Mediterraneo non rientri ancora nelle aree protette sulle percentuali di zolfo nel fuel, i provvedimenti Ue sono a un passo. In tal senso, anche in considerazione del progetto Olt di Livorno, si è pensato di promuovere, come arcipelago toscano, il retrofit sul trasporto marittimo a Gnl ?

“La Provincia di Livorno e l’Autorità Portuale di Livorno stanno effettivamente predisponendo un progetto per poter impiegare il Gnl (disponibile dalla piattaforma Olt) nei traghetti”, sottolinea Nista. “Tale iniziativa sarà eventualmente considerata in fase di aggiornamento e di sviluppo di ulteriori programmi per rendere l’Elba sempre più indirizzata verso uno sviluppo sostenibile, nonostante la contabilizzazione delle emissioni di CO2 dovute al trasporto marittimo non sia oggetto del Patto dei Sindaci”.

Il Paes dell’Isola d’Elba include anche un progetto pilota per la mobilità sostenibile dei turisti che prevede la realizzazione di un sistema di colonnine di ricarica alimentate da pensiline fotovoltaiche e capaci di gestire i flussi di energia prelevati dalla rete e dall’impianto, che potranno essere utilizzati come punti di ricarica di mezzi elettrici (auto, scooter, biciclette a pedalata assistita) per il servizio di car/bike sharing o noleggio.

“In questo modo – spiega l’assessore – il turista che intende dirigersi all’Isola d’Elba potrà lasciare la sua auto a Piombino e noleggiare al porto di arrivo il veicolo elettrico per spostarsi da un luogo a un altro; una volta a destinazione potrà lasciare l’auto presso le apposite pensiline, mettendola a disposizione di altri utenti. La gestione potrà essere garantita e facilitata da un sistema di monitoraggio in tempo reale che potrà tenere sotto controllo la posizione del veicolo, lo stato delle batterie e la produzione degli impianti FV sulla pensilina”.

Quanto alle attività che si pensa di promuovere sul territorio, “tutti gli otto comuni dell’Isola hanno contribuito all’elaborazione del Paes, all’interno del quale sono previsti interventi non solo di ambientamento energetico ma anche di sviluppo delle fonti rinnovabili locali e di mobilità sostenibile, che interessano il territorio”. Infine, per quanto riguarda i finanziamenti “attiveremo, con un lavoro di governance, i Comuni elbani e le Associazioni di categoria con la Regione Toscana per accedere ai finanziamenti regionali del FSR 2014-2020, candidando i progetti elaborati. Per quanto riguarda i finanziamenti europei costruiremo dei parteneariati pubblico-privato non appena usciranno i bandi relativi alle varie linee di finanziamento”, conclude.

Internet of business: arriva la rivoluzione domestica

Da alcuni anni si discute dell’utility 2.0 e in generale di tradizionali operatori dell’energia che, alla luce dello sviluppo offerto dall’innovazione tecnologica e dall’Ict, dovranno sempre più spostare le proprie attività sulla fornitura di servizi. Ma quale sarà il passo successivo? Il tema è oggetto della focus story che apre il nuovo numero di e7, il settimanale di QE.

Al riguardo, si sottolinea, un indizio viene da oltreoceano, dove molti “over the top” americani (grandi operatori delle telecomunicazioni) stanno mettendo in fila una serie di acquisizioni in settori non apparentemente legati al loro core business. A ciò si aggiunge un ulteriore aspetto rilevante: le informazioni sui comportamenti delle persone sono considerate dalle aziende di diversi comparti come dati fondamentali per la competitività sul mercato. Dunque, la disponibilità di dati eterogenei e il loro incrocio: ecco, il passo successivo.

Sempre più spesso assistiamo ad aziende o gruppi che espandono le proprie sfere di competenza dalle energie rinnovabili alla domotica, dalla telefonia ai social network, dalla mobilità alternativa ai servizi alla persona. Ad accelerare questa prospettiva è l’Internet of Things (IoT), la possibilità per molti oggetti di diversa natura, in primis quelli domestici, di poter comunicare e interagire tra essi in virtù delle abitudini e dei comportamenti dei consumatori finali. Un fenomeno che genera una quantità esponenziale di informazioni (da qui il fenomeno dei big data) su chi siamo e cosa facciamo, ma soprattutto su cosa vorremmo e cosa potremmo fare.

I tanti player di questi settori stanno prendendo coscienza della questione, nella possibile prospettiva di dover “mettere in pancia” una quantità crescente di competenze per poter competere su tanti mercati sempre più interconnessi che, mutuando il concetto di IoT, generano una sorta di IoB: “Internet of Business”.

Nella focus story L’intervento di Flavio Rosa (Centro dipartimentale Citera, Università La Sapienza) secondo il quale”l’obiettivo vero saranno i profili degli utenti, le informazioni. Già oggi abbiamo consegnato la nostra privacy ai social network e in futuro i grandi operatori saranno sempre più interessati alle informazioni non per vendere specifiche tecnologie – o commodity – ma servizi. Un grande problema sarà dunque la privacy e i limiti di gestione di tutte queste informazioni. I principali player di tutte le grandi attività in gioco si stanno già attivando”.

Problema, quello della sicurezza, su cui interviene in particolare Claudio Telmon (Associazione italiana per la sicurezza informatica, Clusit), che spiega: “In definitiva, visto che al centro della nostra vita c’è sempre più l’informazione, chi ha la capacità di acquisire una grande quantità di dati è in una posizione ottima per fornire servizi con un vantaggio competitivo.”

“I cittadini italiani e anche i politici sono certamente meno coscienti della questione, mentre a livello europeo c’è più attenzione e la Commissione sta portando avanti iniziative per mantenere un minimo di controllo sui dati delle persone. Sono processi che cominciano a muoversi, anche se poco, rispetto alla velocità dei problemi”, conclude.

Italia-Germania, eppur amici e… più simili di quanto sembri

Germania e Italia sono due Paesi più simili e legati di quanto sembri. Nel campo energetico hanno conosciuto la stessa grande ascesa delle rinnovabili e rispetto il gas naturale – considerando anche il momento storico che attraversiamo – sono grandi importatori dalla Russia (il Bel Paese per circa il 22% del suo import, lo Stato centreuropeo per circa il 35%).

Non solo, storicamente la Germania ha attraversato quindici anni fa una fase di crisi economica per alcuni versi analoga all’attuale italiana, dalla quale è uscita con riforme non lontane da quanto si sta prospettando negli ultimi mesi anche da noi.

Qualche numero

La bilancia commerciale offre dei dati evidenti sulla relazione tra le due realtà, aggirandosi sui cento miliardi di scambio. Stando ai dati forniti dall’Istituto tedesco di Statistica Destatis, l’Italia si conferma per il terzo anno consecutivo un partner d’eccellenza per le importazioni della Germania: tra gennaio e novembre 2013 sono stati importati beni per 43,7 miliardi di euro (contro i 44,6 dello stesso periodo nel 2012). Nel dettaglio, chimica e metallurgia (entrambe al 13%), oltre a mezzi di trasporto (11%) sono i comparti più attivi, seguiti da agroalimentare (7%) e tessile (5%).

In direzione opposta, invece, l’Italia che scende al settimo posto come destinazione dell’export tedesco: tra gennaio e novembre 2013 la Germania ha esportato verso il nostro Paese beni per 49,5 miliardi di euro (-4,12% rispetto allo stesso periodo del 2012). Gli investimenti delle imprese tedesche in Italia sono in crescita da 30,2 a 33,1 miliardi di euro annui nell’ultimo quadriennio. Inoltre, sono 1.345 le nostre aziende partecipate da società teutoniche (1.250 nel 2009).

Su quest’ultimo aspetto, in particolare, riflette in negativo Theo Sommer, editore di the German Times, in apertura della sessione da lui moderata durante il Forum economico italo-tedesco tenutosi a Roma nei giorni scorsi e oggetto della Focus Story, che apre il nuovo numero di e7: “In termini di investimenti, sono più gli italiani a venire in Germania che il contrario, con una forbice di circa 10 miliardi di euro”. Ci si chiede, dunque, “perché sia più difficile per i tedeschi investire in Italia?”.

Tre problemi principali

Gli risponde Wolf Michael Kühne, avvocato e partner Dla Piper, individuando tre problemi principali: “Certezza delle regole, certezza del diritto, eccesso di burocrazia”. Inoltre, prosegue Kühne, “occorre sottolineare che strumenti come il partenariato pubblico privato o il project financing sono stati scarsamente utilizzati per lo sviluppo di progetti infrastrutturali di collegamento tra Germania e Italia. A tal riguardo sono felice che nel Def 2014 il governo Renzi abbia deciso di valorizzare questi strumenti”.

Quella dell’energia è una delle sfide che lega maggiormente questi due Paesi. Secondo Lorenzo Bini Smaghi, presidente di Snam, anch’egli intervenuto nel corso del Forum: “Come si fa a investire in un’Italia che discute di uscire dall’euro?”. Sul piano energetico, “questa è divenuta importante in Ue, ad esempio perché non abbiamo risorse di shale gas – o sono presenti in regioni difficili da sfruttare – e quindi abbiamo uno svantaggio competitivo con gli Usa. Inoltre, siamo molto dipendenti dalle forniture russe e quindi chiamati a una diversificazione delle fonti. Infine, gli incentivi dati alle rinnovabili costano sempre più e serve un cambiamento”. La principale strada da seguire in questo contesto “è creare un vero mercato europeo dell’energia, ma servono regole e infrastrutture. In quest’ultimo caso, sarebbero necessari investimenti per 200 miliardi di euro al 2030, che porterebbero un vantaggio economico di 30 miliardi l’anno”.

La vicenda russo-ucraina

Gli fa eco Stephan Kohler, presidente dell’Agenzia tedesca dell’Energia (Dena): “L’Ue ha davanti sfide chiave, come nel caso del completamento del mercato unico in cui ogni cliente possa liberamente scegliere da chi ricevere energia. Per farlo servono reti e maggiori collegamenti tra frontiere”.

Anche alla luce degli obiettivi di Europa 2020 e della strategia di uscita dall’atomo, “la Germania sta puntando fortemente sul solare e abbiamo compreso come la tecnologia italiana in questo settore possa darci in futuro un importante contributo”.

La crisi ucraina è certamente uno dei fattori che spinge a fare di più: “Va però detto che la Russia si è sempre rivelato un partner affidabile di fornitura energetica. Servono comunque nuove vie di approvvigionamento e allo stesso tempo occorre puntare maggiormente sulle risorse interne, senza dimenticare le potenzialità del Gnl e quindi del Nord Africa come nuovo orizzonte presso cui rifornirci. Italia e Germania sono chiamate a collaborare su tutti questi punti fondamentali”.

Secondo Emanuele Gatti, presidente della Camera di commercio italiana per la Germania, infine: “Dobbiamo puntare a un’integrazione più profonda che coinvolga le infrastrutture industriali, energetiche, logistiche e finanziarie, ma che promuova anche una maggiore integrazione culturale basata sullo scambio e la condivisione di idee e conoscenze”.

Non poche, comunque, le esperienze tedesche di collaborazione in Italia, come certificano realtà quali Volkswagen o Bosch. Ma affinché queste relazioni si evolvano occorre costruire un ambiente di business appetibile. A provarci anche la Puglia, come descrive il governatore Nichi Vendola: “Nella nostra realtà abbiamo lavorato per costruire sistemi distrettuali che non prevedessero incentivi a pioggia, ma aiuti finalizzati a promuovere filiere e che unissero grandi e piccole realtà. Abbiamo messo su un ampio catalogo di incentivi che coinvolge tutti i tipi di impresa e che ha favorito l’internazionalizzazione”. Sul rapporto con la Germania il governatore aggiunge: “C’è una bilancia commerciale che vede la Puglia esportare in quel Paese circa 1 miliardi di euro in prodotti, mentre è di 700 milioni il valore sul percorso inverso”.

Italia, scelte difficili

Progetti e parole che potrebbero sembrare in controtendenza rispetto al momento storico ed economico che soprattutto l’Europa sta attraversando. Non di questo avviso Frank Walter Steinmeier, ministro degli Esteri tedesco: “Non dimentico che quindici anni fa la Germania era definita ‘il malato d’Europa’ trovandoci noi in una situazione economica difficile. Proprio per questo comprendo perfettamente le difficili scelte che si pongono dinanzi al premier Renzi e al suo governo. Avevamo 5 milioni di disoccupati e le nostre imprese non erano competitive. Capimmo di dover contrarre il debito, cambiare le strutture amministrative e spingere l’economia. Le riforme che abbiamo adottato sono state dure ma oggi ne siamo venuti fuori”.

Va detto che, come sottolinea il ministro, “non si possono esportare modelli”, ma in situazioni differenti, “ogni Paese deve trovare la sua strada, mentre la meta deve essere comune per gli Stati europei. Oggi in UE stiamo lasciando dietro la crisi dal punto di vista economico, ma non sociale e politico. Uno dei punti su cui intervenire urgentemente è ad esempio la disoccupazione giovanile”.

2050? Fer, nucleare sicuro, ricerca e informazione

Lo scenario 2050? Un sistema fondato su fonti rinnovabili e Ads (Accelerator driven system), con le vecchie centrali nucleari di seconda generazione (l’80% dei reattori oggi in uso) arrivate a fine vita e una sostenuta R&D per le centrali civili a fusione nucleare. Questo un possibile scenario e un auspicio per il futuro energetico delineato dal professor Matteo Martini dell’Università Marconi, ricercatore associato presso i Laboratori nazionali di Frascati dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, nel corso della conferenza “2050: l’energia del futuro”, organizzata da Ises Italia ed Eidos nei giorni scorsi a Roma.

Affinché ciò accada – sottolinea Marconi a e7, il settimanale di QE – ci sono dei problemi da risolvere: una migliore informazione e formazione dell’opinione pubblica che possa far comprendere la varietà e diversità di fenomeni fisici che si fanno ricadere oggi, erroneamente, sotto il generale cappello del “nucleare”; un maggiore e diverso sostegno alla ricerca di settore; un alto livello di sicurezza dei processi.

Ma i sistemi Ads risolvono alcuni dei problemi attuali? “Per gli Ads siamo a un ottimo stadio di sviluppo – spiega. ” Sono reattori subcritici alimentati da un acceleratore che non mantengono attiva da soli una reazione a catena. Reattori intrinsecamente sicuri per il fatto che, spento l’acceleratore che fornisce neutroni, il sistema si ferma di colpo e si blocca. Inoltre, in questo modo, si producono meno scorie, caratterizzate anche da tempi di decadimento più bassi, e con la possibilità di bruciare negli Ads le scorie già stoccate. Un sistema composto da parti ormai ben conosciute che, scientificamente, non richiede ulteriori sviluppi, mentre manca l’aspetto tecnologico, quindi la volontà di mettere in piedi questo tipo di reattori. Investendo possiamo migliorare e arrivare in circa 10 anni a un meccanismo pronto per produrre energia elettrica.

Quanto alla fusione nucleare, “la questione è aperta dal punto di vista scientifico. Il processo è noto, manca però la capacità per renderlo stabile, duraturo, controllabile e sfruttabile per la generazione elettrica. Al momento i sistemi sperimentali consumano l’equivalente e anche più dell’energia che producono, quindi serve altra ricerca. Importante in questo senso il progetto Iter per la realizzazione prevista entro il 2020 (dieci anni in ritardo), di un reattore di prova nel sud della Francia. Da ciò si passerà a Demo, che sarà strutturato sul processo compreso grazie a Iter. In termini temporali andremo oltre il 2050, a meno che non si facciamo investimenti importanti prima”.

Ricordato il nodo investimenti, ci sono però altri problemi da risolvere. “La questione del Nimby per il nucleare c’è. Il problema è che continuiamo a chiamare tutto “nucleare”, ma in realtà si prendono in considerazione fenomeni fisici differenti; ad esempio, la fusione è opposta alla fissione. Spesso c’è speculazione su questi temi e, inoltre, l’unica associazione di idee che si consente parlando di nucleare è: bomba atomica, scorie, Fukushima, Chernobyl.

Parliamo di cose diverse. Dobbiamo rendere più partecipi le persone delle nostre ricerche, delle nostre scoperte e delle nostre invenzioni. Solo così potremo fare un percorso di comprensione spiegando passo dopo passo cosa accade veramente”, conclude Marconi.

Puglia, lo sviluppo passa per energia e servizi

La Puglia è una regione dall’altissimo potenziale energetico e logistico che la rendono un territorio attrattivo per gli investimenti produttivi esteri, ma anche per lo sviluppo delle attività locali in ottica di internazionalizzazione. Ad esempio gli investimenti esteri realizzati in Puglia grazie allo strumento dei Contratti di Programma arrivano a 405 milioni complessivi, di cui il 48,47% riguarda la sola Germania. Come sostenere e migliorare questi comparti? E7, il settimanale di QE, ne ha discusso con Antonio De Vito, direttore generale di Puglia Sviluppo Spa (società affidataria di attività da parte della Regione in qualità di organismo intermedio nell’attuazione di alcuni regimi di aiuto).

“In questo ciclo di programmazione”, dichiara, “abbiamo sostenuto, attraverso un catalogo di strumenti probabilmente unico in Italia, investimenti di tipo micro e macro, dal piccolo artigiano al grande player internazionale. Grazie, quindi, a un meccanismo con procedura a sportello avviato dal 2009, a oggi abbiamo in essere 2 miliardi e 400 milioni di attività. Di questi 1 miliardo e 100 milioni riguardano le grandi imprese. Nell’ambito dei contratti di programma, infatti, su 43 contratti 16 afferiscono multinazionali estere. I settori che in questo momento stanno concludendo le loro operazioni sono in particolare aeronautica, farmaceutica e meccatronica”.

“La nostra attività, comunque”, prosegue il dg, “ha sostenuto sia gli investimenti produttivi sia le attività di ricerca. Per nostra fortuna molte multinazionali hanno trasferito sul territorio regionale anche siti del secondo tipo. Sul ciclo di programmazione 2007 – 2013 abbiamo insistito molto, tra le altre cose, sul tema dell’efficientamento energetico, con buoni riscontri dalle imprese. È recente, inoltre, la comunicazione della Commissione europea sull’approvazione del nuovo regolamento di estensione sul ciclo di programmazione 2014 – 2020, in cui gli interventi di efficientamento energetico sono tra le finalità previste”.

Come agire invece per l’internazionalizzazione delle imprese regionali? “Abbiamo un’attività che si muove su due filoni. Quello”, spiega, De Vito, “più istituzionale con la presenza in tutti gli appuntamenti internazionali, con il coinvolgimento dei distretti produttivi regionali, ad esempio nelle occasioni fieristiche migliori. Poi c’è il sostegno all’internazionalizzazione delle Pmi con lo strumento della rete o dei consorzi d’impresa”.

Infine, per favorire di più lo sviluppo locale “la regione intende migliorare l’accesso alle tecnologie Ict, uno dei temi che sarà certamente preso in attenzione nella nuova programmazione. Dovremo confrontarci con le strutture ministeriali per evitare inutili sovrapposizioni; ad esempio per il completamento della banda ultra larga. Importante l’innovazione e la digitalizzazione dei processi, anche interni alla Pubblica Amministrazione. Dal punto di vista delle reti occorrerà inoltre valorizzare fondi per lo sviluppo e la coesione, individuando cosa inserire nella programmazione comunitaria e cosa in quella nazionale, in virtù dei vincoli di spesa”.

La rete delle smart city passa per le utility

Efficienza, multi servizio e interconnessione. Queste le nuove sfide delle utility che assumono volenti o nolenti un ruolo strategico nella realizzazione delle smart city. Ma siamo pronti per queste sfide? E soprattutto, cosa manca e cosa serve alle utility per muoversi a passi decisi verso questo cambiamento? E7 ne parla con Mattia Sica, direttore Area Reti dell’Energia di Federutility secondo il quale “rispondere alla domanda vuol dire fare un elenco, forse anche solo parziale, di ipotesi. Prevedere il futuro, o meglio prefigurare degli scenari, non è agevole e, rileggendo il passato, ci si accorge di come certezze assolute di un tempo si sono dimostrate non corrette a oggi”.

“Per non incorrere in tale rischio, possiamo dire come ci piacerebbe fosse una utility nel medio-lungo termine”, prosegue. “Vediamo, almeno per i settori che conosciamo in Federutility, una utility che, sebbene porti ancora l’energia, l’acqua, il calore a casa del cittadino, abbia la capacità di interfacciarsi direttamente, e anche in tempo reale, con l’utente per offrire e acquisire servizi nuovi. Servizi che creino valore per il singolo e per la collettività e con livelli qualitativi sempre maggiori”.

“Per questo motivo saranno utility che dovranno farsi carico di investimenti di non poco conto e che avranno sempre più una valenza di “sistema”. Che si tratti di smart grid, di interventi nel ciclo idrico integrato o per recuperi di sicurezza gas saranno comunque investimenti che dovranno essere “centrati” per efficacia di risultati ed efficienza economica” aggiunge Sica che poi sottolinea come “il valore apportato da tali investimenti potrà essere percepito nella fruizione di servizi in maniera più agevole, ambientalmente sostenibile ed economicamente competitiva. E allora le utility potranno guadagnare ancora più spazio nel quadro economico locale ed essere valorizzate non solo per la quantità e la qualità del servizio reso, ma anche per il contributo apportato alla crescita economica del contesto sociale del territorio”.

Uno scenario di riferimento in cui “la gestione dell’utility dovrà prevedere l’impiego di sempre più tecnologia sulle reti, aumentando il telecontrollo e il monitoraggio dei parametri indicativi della conduzione del prodotto, anche per far fronte a un sistema che sarà sempre più decentralizzato rispetto ai modelli che oggi si conoscono. La diffusione dei servizi via internet – spiega Sica – consentirà di accorciare la distanza tra il fornitore del servizio e l’utente finale e per questo le utility avranno bisogno di un supporto tecnologico fondamentale per sviluppare tale interattività. Vediamo una rete di telecomunicazione robusta e capillare come il substrato in grado di sostenere tale evoluzione e come il sistema nervoso sul quale potranno viaggiare le reazioni agli stimoli provenienti dal mercato; si pensi a possibili servizi di aggregazione della domanda nel settore elettrico che altro non sono che servizi di variazione del carico in tempo reale, che hanno bisogno di tempi di reazione estremamente contenuti”.

“Da questo punto di vista non si tratta di lanciare la palla nel campo avversario, attribuendo agli operatori delle reti di telecomunicazioni l’onere di fare il primo passo, ma è evidente che la sinergia dei differenti gestori di servizi a rete rientra nella logica più generale di efficienza di un sistema economico. Per altro, a ciò si aggiunge un orientamento che sta emergendo in maniera evidente e rappresentato da una sempre più rigorosa selezione degli investimenti che costituirà un vincolo che l’Autorità di regolazione di settore – l’Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico – imporrà agli Operatori nei prossimi anni”.

Quanto all’avvio dei progetti pilota relativi ai contatori multi servizio, “adesso possiamo dire che la sfida è stata accolta da diversi gruppi multiutility associati alla Federazione – sottolinea – nonché da altre imprese – che magari operano distintamente in singoli settori quali la distribuzione del gas o dell’acqua – che si stanno impegnando per realizzare un modello di “misura” razionale, efficiente e pervasivo”.

“È indubbio che lo smart metering si diffonderà sempre più e riguarderà differenti comparti. Una organizzazione del sistema che eviti la duplicazione di infrastrutture rilevanti ai fini della misura – tipicamente i concentratori – potrà alimentare la cooperazione tra gli operatori e accelerare il percorso di diffusione dei contatori di nuova generazione. Se tutto ciò fosse accompagnato da una lucida visione della necessità di definire una normativa tecnica di riferimento, in grado di creare un vero standard nazionale, si potrebbe sperare di porre le basi per non perdere la leadership che il nostro sistema ha conquistato nel settore”.

Spero si sia compreso come, al di là dell’aspetto finanziario, che ha ovviamente un peso rilevantissimo nell’attuale contesto -conclude – il motore della città intelligente lo vedo nell’azione di coordinamento del comune – o dei comuni che rientrano nel concetto di Area metropolitana – nel loro esercizio del diritto/dovere di definire le traiettorie di sviluppo delle città, nella responsabilità di identificare le priorità che bisogna perseguire rispetto alle aspettative dei cittadini”.

“Da tale punto di vista, Federutility potrebbe essere disponibile a un tavolo di lavoro con Anci o altre Pubbliche Amministrazioni – direttamente responsabili in materia e non solo desiderose di occupare un posto al tavolo – per avviare una attività di verifica dei fabbisogni dei nuovi servizi che nel breve-medio periodo si possono mettere a disposizione dei cittadini, che sono anche utenti dei servizi che le nostre associate quotidianamente forniscono al territorio”.

Dalla rete alla città intelligente

Integrare le diverse tecnologie. Solo così ci sarà l’evoluzione dalla rete all’edificio intelligente. A questo richiamo dell’Unione Europea, come emerge dalle ultime direttive offerte dalla Road Map integrata delle tecnologie, l’industria e gli Stati sono chiamati a rispondere con l’acquisizione di un nuovo punto di vista.

“D’altronde le tecnologie ci sono ma il circolo virtuoso non parte” evidenzia Marcello Capra delegato SET – Plan europeo del Mse. “La comunità europea si è resa conto che si è perso di vista il quadro di insieme. Le smart city sono uno dei tre pilastri del work programme, e possiamo certamente dire che tra le tecnologie sotto i riflettori spiccano le smart grid, la mobilità sostenibile e l’agenda digitale. Sarà proprio l’implementazione delle tecnologie Ict a fare la differenza nell’ambito dei progetti smart city”.

In questa visione integrata, un ruolo strategico lo giocano i diversi componenti di una città intelligente. Pensiamo agli edifici, che sia per la carenza di efficienza sia per le potenzialità di una possibile connessione in rete rappresentano un elemento significativo per testare l’avanzamento della tecnologia sia sul lato consumer che pubblico. Tutte tematiche che saranno al centro del III Smart Grid International Forum, che si tiene a Roma il 14 aprile organizzato da GIE (Gruppo Italia Energia) i cui obiettivi sono ampiamente illustrati sul nuovo numero di e7.

Diversi sono i comparti industriali che stanno analizzando l’impatto del building in un’ottica di visione integrata. Tra questi il comparto bancario si è molto attivato negli ultimi anni nella duplice veste di utente e finanziatore di progetti di efficientamento.

“Gli elementi ostativi alla crescita del settore sono diversi” Giorgio Recanati, senior research di ABI Lab, evidenzia come “ad esempio le ESCo, coinvolte in questi interventi di riqualificazione, presentino problemi legati alla sotto capitalizzazione. Stiamo lavorando proprio per individuare regole che aiutino questo target. Inoltre ci stiamo muovendo per capire le attività possibili di riqualificazione energetica per la PA. Dal nostro punto di vista la misura è un elemento di partenza su cui costruire e programmare i consumi”.

Possiamo dire che dal componente ‘cittadino’ al componente di ‘rete’ si stia facendo un passo gli uni verso gli altri per realizzare un sistema integrato efficiente? “Stiamo cercando di ottimizzare la filiera – risponde Capra – e per far ciò le attività sugli edifici sono fondamentali. Il ruolo centrale degli immobili della PA è chiaro, e come è indicato anche dalla Direttiva, l’obiettivo principale è descrivere con quali tecnologie individuiamo il risparmio e poi quali step seguire per raggiungerlo”.

In questo, aiuterebbero una visione di insieme tra le città come pure un loro coordinamento nazionale, evidenzia Mattia Sica, direzione energia Federutility. “Non so se questo dello smart meter è un tema reale o strumentale, ad oggi l’energia elettrica dà tutte le indicazioni utili anche se servite ex-post. Di fatto il problema è che le informazioni non possono essere gestite dal distributore come vuole e c’è bisogno di una regolazione della messa a disposizione di questi dati”.

Per Antonio Lumicisi, Fondazione Ambiente Pulito: “Le informazioni ci sono ma forse manca il desiderio di condividerle. Certamente una collaborazione intra e inter comunale è fondamentale”.

“Manca il coordinamento tra comparto scientifico, analisi e realizzazione delle norme, anche i soggetti del mercato finanziario devono esser in grado di reagire e costruire un’ offerta finanziaria consolidata” sostiene Mauro Brolis responsabile divisione energia di Finlombarda.

L’elemento di partenza, quindi, oltre la misura è la disponibilità dei dati. Significativo in tal senso l’esempio della Regione Lombardia che ha attivato un processo di misura e stima in modalità “open data” sull’impatto energetico degli immobili della Regione. “Con questo studio abbiamo potuto effettuare anche le correlazioni tra le classi energetiche e il mix di tecnologie impiegate” sottolinea Brolis. “Dare questi numeri sul territorio lombardo rappresenta pur sempre un campione nazionale rilevante”, conclude.

“Serve una capacità di pianificazione generale e di coordinamento, questo è fuor di dubbio, ma non confondiamo il tema dello smart metering domestico con la poca crescita delle smart grid…” ammonisce Sica.

Insomma, da dove partire per sviluppare una smart city: dai cittadini, dalle istituzioni o dagli aspetti strumentali e di finanziamento? Forse l’aspetto dimostrativo sul campo è quello che manca ed è il modo in cui possiamo facilmente comunicare e coinvolgere cittadini, istituzioni e stakeholder rispetto alle opportunità di una città intelligente. In questo le micro grid possono svolgere un ruolo strategico ” suggerisce Giorgio Graditi, Head of Photovoltaic Technologies Unit Enea (UTTP-FOTO).

India ovvero quando la smart grid è una necessità

Il sistema di alimentazione elettrico indiano è il quarto più grande del mondo, con una capacità installata di 235 GW. La sincronizzazione della rete elettrica regionale del sud con il resto del Paese, nel gennaio 2014, ha fatto sì che l’India sia ad oggi la più grande rete sincrona al mondo con 3.280.000 km2 coperti e circa 200 milioni di consumatori.

Per monitorare la situazione del settore elettrico, il Governo ha avviato in una iniziativa di partenariato pubblico-privato l’India Smart Grid Forum. Una vera e propria sfida. E7 ne ha parlato con il presidente, Kumar Raghavan Pillai Reji, che ha partecipato come relatore allo Smart International Forum, organizzato da Gruppo Italia Energia, che si è svolto lunedì scorso a Roma. Sul nuovo numero del settimanale di QE, un dossier con resoconti, interviste e video delle tavole rotonde.

Crescita imponente

“Il settore della distribuzione è caratterizzato da perdite molto elevate sulle reti T&D – circa il 26,5 % a livello nazionale (circa 40 % in molti Stati) e quasi 79 milioni di famiglie non hanno accesso all’elettricità”, sottolinea Pillai Reji.

“Il mercato è in gran parte dominato dalle utility, in quanto nel settore il privato è circa il 27% nella generazione, 1% nella trasmissione e circa il 5% della distribuzione. Ampie aree del Paese vivono interruzioni di corrente per diverse ore ogni giorno e i consumatori sono costretti ad impiegare storage o strutture di generazione locale. Questo fa sì che la qualità dell’alimentazione sia scarsa, mentre i consumatori richiedono stabilizzatori di tensione, usando UPS e quant’altro”. “Il nostro sistema di generazione – aggiunge – è raddoppiato negli ultimi dieci anni, ma il consumo procapite è circa un quarto della media mondiale. La domanda stimata entro il 2032 è di circa 900 GW, il che significa che la necessità del sistema di alimentazione è quasi di quadruplicare la capacità esistente nei prossimi 15-20 anni. Una rete di simili dimensioni che cresce a questo ritmo richiede sistemi più intelligenti”.

La risposta del Governo.

“L’India sta affrontando diverse sfide legate all’innovazione della sua infrastruttura – spiega – e lo sta facendo ponendosi obiettivi legati al mondo smart per aumentare la visibilità e il controllo dei flussi di potenza in tempo reale, prevedendo una transizione verso città intelligenti e un’economia a basse emissioni di carbonio. “A cominciare da un programma di integrazione di energie rinnovabili in rete, tra i più ambiziosi al mondo, il che comporta inevitabilmente la necessità di gestire una distribuzione intermittente con sistemi di smart grid.

Altro grande obiettivo è introdurre in forze la mobilità elettrica per cui si è fissato un primo step di 6 milioni di veicoli elettrici (EV) entro il 2020. La riduzione delle perdite T&D è poi la priorità assoluta sia del Governo sia della rete di servizi”.

“Quindi, le reti intelligenti sono una necessità per l’India piuttosto che un lusso”, dice ancora. “Lanciato nel 2009, il programma di ristrutturazione accelerata per lo sviluppo e la riforma della generazione elettrica (R-APDRP) è una delle più grandi inziative al mondo di rinnovo in ambito IT svolta dalle utility elettriche. Con un unico programma integrato, tutte le utility di cui lo Stato è proprietario stanno portando avanti la costruzione di infrastrutture IT, applicazioni e automazioni di sistema. Le Smart grid rappresentano il prossimo step per raggiungere i nostri obiettivi di continuità energetica, le basi poste dal programma RAPDRP sono molto consistenti e possono essere una leva importante per il successo dell’ implementazione delle smart grid a cui stiamo puntando”.

Le priorità del piano indiano

“L’India Smart Grid Forum (ISGF) è stato predisposto dal ministero dell’Energia (MoP). Il Governo indiano in questo modo ha realizzato una struttura che potesse assistere il ministero nello sviluppare velocemente quanto necessario per realizzare le smart grid. Tra le sue prime mansioni l’ISGF, in sinergia con il ministero, ha realizzato nell’agosto del 2013 un documento in cui indicava sia la vision del Governo Indiano sulle smart grid che la road map da seguire in linea con i must del Governo di “accessibilità, connettività e disponibilità per tutti”.

“La vision dell’India sulle Smart grid – aggiunge – si può sintetizzare in “Trasformare il settore energetico indiano in una rete sicura, un ecosistema sostenibile e digitale abilitato che fornisce con affidabilità energia e per tutti con la partecipazione attiva delle parti interessate. Ci siamo dati come primo obiettivo target il 2017”.

“Sarà lanciata a breve la “National Smart Grid Mission” che avrà il compito di coinvolgere tutti gli stakeholder e renderli parte attiva e partecipe alla road map. Il ministero ha deciso di puntare su 14 piloti coinvolgendo diverse utility e produttori che serviranno da benchmarck e case study per i lavori su larga scala. Il costo previsto di queste attività si aggira intorno agli 80 milioni di dollari americani, di cui il 50% delle spese lo sobbarcherà lo stesso Governo. Attualmente i progetti sono in fase di gara. La maggior parte di questi coinvolgono dai 20.000 utenti in su”.

Interoperabilità

“L’interoperabilità è certamente la sfida più grande e diverse organizzazioni e forum come il nostro stanno lavorando in modo sinergico per sviluppare un approccio condiviso all’interoperabilità e raggiungerne uno internazionale. Se guardiamo alla nostra storia, ci rendiamo conto di quante volte le utility si siano trovate in passato a dover forzosamente rivolgersi agli stessi fornitori proprio perché avevano utilizzato in prima battuta dei software chiusi e non interoperabili, magari anche legiferati in ritardo. Ora a partire dal primo approccio di standard dato dal Grid Wise Architectural Council (GWAC) americano per poi passare per i lavori di gruppi come IEC, IEEE e l’European Standards Organizations (CEN/CENELEC/ETSI), stiamo tutti lavorando per risolvere questa che è la sfida centrale dei sistemi interconessi intelligenti”, conclude.

Fuel cell: un test sul campo per lanciare il mercato

Costi competitivi e regole chiare. Sono questi, per molti settori dell’industria, i due fattori chiave che consentono la diffusione massiva di un prodotto sul mercato. Le celle a combustibile non fanno eccezione: “Per uscire da una logica di mero prototipo – spiega sul nuovo numero di e7 Marco Merler, amministratore delegato di Dolomiti Energia – è necessario avere queste tecnologie a costi adeguati rispetto ai valori di mercato e un quadro di regole in grado di cogliere le novità e inserirle nel contesto normativo attuale”.

In realtà, quando si parla di idrogeno più che di “contesto attuale” si dovrebbe parlare di “vuoto” normativo. “Al momento di regole non ce ne sono: né buone né cattive”, dice Merler, spiegando le priorità del progetto europeo ene.field, al quale partecipa anche Dolomiti Energia.

L’iniziativa, co-finanziata dalla Fuel Cells and Hydrogen Joint Undertaking, prevede l’installazione di circa 1.000 celle a combustibile in un’ottica di cogenerazione di piccola taglia per uso essenzialmente domestico: “L’obiettivo – spiega Merler – è quello di uscire dalla logica del prototipo e avviare la sperimentazione sul campo (“field test” da cui il nome del progetto) così da poter risolvere tutta una serie di problemi sia di tipo operativo che autorizzativo o regolatorio per compiere un significativo passo in avanti verso la commercializzazione della tecnologia”.

Il principale output del progetto – che coinvolge anche 9 costruttori europei di micro FC-Chp (Combined Heat and Power, ovvero una singola cella impiegata per produrre sia calore che elettricità) – sarà un enorme data set contenente informazioni sui consumi energetici e l’applicabilità in tutta Europa delle celle, che verranno installate (e monitorate) in situazioni differenti per tipo di abitazione (singola, condominio, etc), zona climatica e mercato del riscaldamento domestico nazionale.

Oltre a fornire una base di lavoro condivisa per la valutazione del ciclo di vita e dei costi dei prodotti installati, i dati consentiranno di fornire ai Paesi membri una valutazione dei cosiddetti economics e dei risparmi in termini di CO2 relativi alla diffusione di questa tecnologia nei propri mercati di riferimento ma anche di fare raccomandazioni sulle policy e i meccanismi di supporto più appropriati per sostenere la commercializzazione delle micro FC-Chp in tutta Europa.

L’auspicio di Merler è che le regole che verranno stabilite siano semplici: “Stiamo parlando di generazione distribuita – spiega il numero uno di Dolomiti Energia – quindi di installazioni numerose e di piccola taglia fatte da soggetti ai quali non si possono chiedere adempimenti troppo complessi.

Se venisse fatto si correrebbe il rischio di scoraggiare gli investimenti in questo settore. C’è bisogno di un meccanismo che sia semplice e lineare”.

Un tema importante, prosegue il manager sul nuovo numero del settimanale di QE, è quello legato alla fiscalità: “Con l’Agenzia delle Dogane di Trento stiamo cercando di avviare una sperimentazione che consenta di applicare le norme della cogenerazione tradizionale di piccola taglia a impianti affini, in questo caso le celle a combustibile”.

Il progetto è ancora agli inizi, conclude Merler, e la società sta cercando di individuare delle possibili modalità per far partire la sperimentazione.

Se i decisori politici hanno ancora molta strada da fare, l’industria dal canto suo non è da meno e tra gli obiettivi del progetto c’è anche la creazione di una filiera matura e pronta per affrontare gli sviluppi del mercato. Non è un caso che la piattaforma, alla quale aderiscono 26 partner, coinvolga oltre alle utility anche i rappresentanti del comparto immobiliare, le municipalità e, come già accennato, i principali produttori di questa tecnologia.

A fare da apripista in Europa per ora sono state le tedesche Baxi Innotech ed Elcore, che lo scorso settembre hanno installato le prime due unità di cogenerazione basate su celle a combustibile, rispettivamente a Monaco e Amburgo.

O&M, nuovi business per il FV

Sebbene ogni mercato abbia le sue dinamiche e peculiarità nella fase di sviluppo e autorizzazione, tutti hanno sperimentato la corsa selvaggia agli allacci entro le date prestabilite per ottenere incentivi maggiori a scapito, in vari casi, della qualità nella fase di costruzione. È nato così il mercato delle ristrutturazioni di impianti che, costruiti non proprio a regola d’arte, hanno prestazioni inferiori rispetto ai business plan. Qui il driver per creare valore è il miglioramento dell’efficienza gestionale.

Filippo Lambert, managing director Italia di Photon Energy, ha spiegato a e7 le strategie per affrontare il nuovo mercato alla fine dell’era d’oro degli incentivi.

L’attività centrale oggi è quella dell’Operation & Maintenance, spiega. Poiché per gli investitori è fondamentale possedere asset performanti e remunerativi, è normale si punti sul controllo preventivo degli impianti e su soluzioni correttive rapide ed economiche. “In ogni Paese in cui operiamo abbiamo ingegneri e tecnici in grado di offrire un servizio di O&M completo e di qualità. In particolare, quando nel 2012 Satcon (grande produttore di inverter) ha chiuso le sedi in Europa, abbiamo assorbito molte delle sue figure tecniche. Siamo stati in grado così di dare continuità nel lungo periodo ai proprietari di inverter garantendo controlli preventivi, interventi correttivi, supporto da remoto e formazione tecnica per staff locali”.

Il rischio, oggi, è dato dai cambiamenti normativi e dalle tasse retroattive attuati in molti Paesi della Ue (Spagna, Grecia, Repubblica Ceca, Bulgaria e ora anche in Italia) e che minacciano anche i Paesi considerati più sicuri come Germania, Francia e Gran Bretagna.

“Per questo abbiamo recentemente creato la società European Solar Holdings – dice ancora – al fine di aggregare il maggior numero possibile di asset FV sotto l’ombrello di un trattato bilaterale con un Paese sicuro non appartenente alla Ue (Hong Kong per l’Italia), con l’obiettivo di ridurre i costi e aumentare le possibilità di successo degli arbitrati internazionali contro i governi che impongono misure retroattive. Lo scopo principale dell’iniziativa è di offrire una protezione agli investimenti e un’efficiente gestione degli asset, garantendo liquidità e rendimenti in dividendi ai partecipanti. Non appena raggiunto il target al 2015 di un portafoglio di 250 MW, Ehs verrà quotata su uno dei principali mercati azionari europei”, conclude Lambert.

Sul nuovo numero in uscita del settimanale di QE anche le ultime novità della ricerca italiana in tema di misurazione dell’energia termica. Carlo Marinari, della divisione meccanica INRiM, l’istituto nazionale di ricerca metrologica, parla delle esperienze in atto per elaborare un “modello di referibilità” per la misura del calore, molto innovativo rispetto alle esperienze portate avanti all’estero. Applicazioni pratiche attese presso condomini, fabbriche, reti di produzione e distribuzione.

Obiettivo 2030: parla Degani (Minambiente)

“I target vincolanti vanno commisurati con le risorse disponibili e con la necessità di una condivisione tra tutti gli Stati membri e le parti contraenti”. Così il neosottosegretario all’Ambiente, Barbara Degani a proposito di un dibattito, quello sui target clima-energia al 2030, sul quale molti player di settore stanno pungolando le istituzioni competenti, a partire dai ministeri nazionali, affinché si adotti la visione ritenuta, a seconda dei casi, più opportuna.

“In termini generali – spiega il sottosegretario in una intervista sul nuovo numero di e7 – l’Italia è favorevole alla proposta della Commissione europea sul quadro per le politiche clima-energia al 2030. Vogliamo contribuire nell’ambito del contesto internazionale alla riduzione dell’intensità di carbonio dell’economia mondiale. Siamo allo stesso consapevoli che ulteriori ambiziosi obiettivi europei di riduzione delle emissioni sono un impegno molto forte per il nostro sistema economico. Ma siamo oltremodo convinti che se tutti si assumeranno lo stesso impegno il nostro contributo acquisirà un vero valore di contrasto ai cambiamenti climatici. Per questo sono fondamentali ulteriori sforzi sul fronte delle energie rinnovabili, ma anche e soprattutto sull’efficienza energetica”.

L’orientamento italiano in Europa, aggiunge Degani, “è stato ben definito al Consiglio europeo del 3 marzo. In questo contesto, abbiamo ribadito la necessità di politiche forti a supporto degli obiettivi europei. Politiche che hanno come fine: la progressiva sostituzione di combustibili e tecnologie ad alto contenuto di carbonio, in particolare nel settore dei trasporti, in cui bisogna incoraggiare l’uso di biocarburanti di seconda generazione; una fiscalità energetica comunitaria a favore di tecnologie e sistemi di gestione a basso contenuto di carbonio; l’utilizzo di risorse e strumenti finanziari europei nei settori strategici”. “Peraltro, sempre nell’ambito del Consiglio – dice ancora – l’Italia ha sottoscritto le richieste del Gruppo ministeriale per la crescita verde che individua per rinnovabili ed efficienza energetica un ruolo importante nelle politiche degli Stati membri”.

Per quanto riguarda le politiche interne, la delibera Cipe di marzo 2013 sul Piano di azione nazionale per la riduzione dei livelli di emissione dei gas a effetto serra “indica, tra le misure che hanno un forte potenziale di riduzione delle emissioni, la promozione dell’eco-efficienza nell’edilizia. Secondo la Strategia energetica nazionale, infatti, competitività e sostenibilità ambientale devono andare a braccetto e l’efficienza energetica fondata sull’innovazione tecnologica è e sarà sempre più un driver fondamentale”.

Più in particolare, ci sono difficoltà nel tradurre le indicazioni europee nello specifico di un territorio? “Le politiche ambientali ed energetiche sono fondate sullo sviluppo, sulla ricerca, sull’innovazione tecnologica. Si tratta di politiche che corrono velocemente e che trovano un solo grande ostacolo: la burocrazia pesante. Dobbiamo impegnarci fortemente per semplificare il sistema di norme, gli adempimenti e i tempi: solo così possiamo raggiungere i traguardi che ci impone l’Unione europea con il minimo sforzo e con il massimo risultato. La grande riforma della politica energetica, che è alla base della Sen, è un’opportunità importantissima per i territori e dobbiamo dare agli enti locali i giusti strumenti per non perderla”, spiega ancora Degani.

E proprio a proposito di amministrazione locale ed Europa, “mi piace ricordare un’esperienza positiva della Provincia di Padova: il “Progetto 3L – Less energy, Less cost, Less impact” che, grazie all’accesso ai fondi europei, ha permesso di destinare 32 milioni di euro all’efficienza energetica di 646 edifici pubblici (di cui 536 in provincia di Padova e 110 in provincia di Rovigo) e 28,4 milioni al miglioramento degli impianti di illuminazione pubblica, per un’estensione di oltre 1.045 km e 100.980 punti luce”, conclude.

Viaggio nell’Eldorado brasiliano

Con una popolazione di quasi 194 milioni di abitanti e un’estensione di oltre 8,5 milioni di kmq, il Brasile è la più grande economia dell’America Latina e la settima a livello mondiale sia in termini di Pil nominale (circa 2,3 milioni di milioni di $) che di potere d’acquisto (poco più di 2,3 milioni di milioni di $). Alla crescita del Paese, in termini demografici ed economici, corrisponde un incremento della domanda di energia che apre grandi possibilità anche alle imprese e agli investitori stranieri. E7, il settimanale di QE, ne ha parlato con S.E. l’ambasciatore del Brasile in Italia, Ricardo Neiva Tavares. E le fonti rinnovabili, naturalmnente, sono al centro.

L’opzione Fer

“L’opzione “Fer” non è nuova per noi. Il Paese – spiega – conta su uno dei mix energetici più puliti al mondo, in cui le Fer pesano per il 42% a fronte di una media mondiale soltanto del 16,7%. Nel settore elettrico, i numeri sono ancora più impressionanti: l’85% dell’elettricità consumata in Brasile proviene da fonti rinnovabili (73% idroelettrico), contro il 21,7% della media mondiale. Particolarmente all’avanguardia anche l’approccio ai biocarburanti, grazie al pionieristico Programma “Proálcool”, avviato alla fine degli anni Settanta e responsabile dello sviluppo di una consistente flotta di veicoli alimentati a etanolo, ancora oggi la maggiore del mondo. Nel 2000, guardando alll’esperienza maturata, l’industria automobilistica nazionale e i centri di ricerca hanno sviluppato la tecnologia “flex-fuel”, grazie alla quale il serbatoio di un’automobile può essere rifornito, indistintamente, con benzina o etanolo”. Il primo modello di veicolo ha cominciato a essere commercializzato nel 2003, confermando un grande successo per questa tecnologia, basti valutare come nel 2012, il numero di veicoli ha raggiunto il 92% del totale parco mezzi.

Boom eolico

Per quanto riguarda eolico e fotovoltaico, lo sviluppo è in corso. “Per avere un’idea di quanto l’energia eolica si stia espandendo nella matrice energetica brasiliana – ricorda l’ambasciatore – dal 2007 al 2013, la capacità installata di produzione elettrica in questo settore è cresciuta quasi 10 volte, passando da 24 MW a 2.252 MW. Tenendo conto dei progetti di generazione avviati dal 2009, la capacità eolica installata dovrà arrivare nel 2017 a circa 10.000 MW. Lo sviluppo del fotovoltaico è ancora incipiente, ma il potenziale del Paese è enorme. Si tratta di tecnologie ben conosciute dagli italiani: non è un caso che Enel Green Power sia già leader nel mercato brasiliano della produzione di energia eolica, con investimenti che aumentano quotidianamente, soprattutto nel nordest del Paese”.

Senza dubbio il Brasile potrà sviluppare un’industria anche in questo settore. Il Paese ha un parco industriale importante, sofisticato e “siamo capaci di assorbire e creare tecnologia, come dimostrato con l’etanolo”.

Risorse non convenzionali

Lo scorso anno il governo ha dato il via libera allo sfruttamento di risorse non convenzionali. “Non abbiamo ancora una stima precisa sulle riserve potenziali di “shale gas”. Sicuramente, non saranno piccole ma il tema è ancora in discussione. Alla fine dello scorso anno, l’Agenzia Nazionale del Petrolio brasiliana ha messo in gara alcune aree per lo sfruttamento di gas “onshore”. Per il non convenzionale si dovrà attendere una regolamentazione a riguardo da parte delle competenti autorità brasiliane”.

Sviluppo delle infrastrutture

Le infrastrutture rappresentano un elemento chiave soprattutto in un Paese così vasto.

” Il Piano Decennale di Espansione di Energia (Pde) 2011-2021 prevede un aumento annuale del 4,9% nel consumo di energia elettrica. La proiezione di espansione della domanda rispetto il miglioramento di efficienza energetica – spiega ancora – considera: la crescita demografica; lo sviluppo economico del Paese; gli investimenti nel settore industriale; le migliorie delle condizioni sociali della popolazione, in vista dell’aumento del numero dei consumatori sul mercato; i collegamenti tra sistemi isolati di trasmissione di energia con il Sistema Interconnesso Nazionale (SIN); i progetti di integrazione energetica nel Paese e anche con i Paesi confinanti”.

Al fine di rispondere a una crescente domanda interna, per i prossimi anni è prevista l’aggiunta di 36.142 MW nella potenza di generazione del Paese. Solo nel 2013, sono stati acquisiti 7.145,4 MW di capacità installata in nuovi progetti del settore energetico. Si osserva che tutti gli impianti avviati nel 2013 sono alimentati da fonti rinnovabili, di cui 4.710,4 MW da energia eolica, 1.626,2 MW da idroelettrico e 808,8 MW da centrali termiche a biomassa.

Nonostante la previsione di una rapida espansione della domanda, il consumo di elettricità pro capite rimarrà su un livello relativamente contenuto, passando da 2.586 kWh/abitante, nel 2012, a 3.753 kWh/abitante, nel 2021. Tale valore corrisponde a circa il 45% dell’attuale consumo pro capite nei paesi dell’OCSE, attualmente calcolato 8.272 kWh/abitante.

“La necessaria espansione della produzione di energia comunque non cambierà il profilo della matrice elettrica nazionale. Secondo il PDE, nel periodo compreso tra il 2011 e il 2021, è prevista l’aggiunta di 65,9 GW alla capacità installata. Di questo totale, circa l’85% sarà da fonti rinnovabili, soprattutto idroelettrica, eolica e bioenergetica”, conclude Neiva Tabares.

Storage, generazione distribuita e microgrid: energia come sistema

“La versione 2.0 delle rinnovabili non può prescindere dal porsi il problema dell’accumulo. Consideriamo che da una parte c’è un interesse verso la massificazione dell’autoconsumo, mi riferisco ai cosiddetti Seu definiti l’anno scorso con la delibera 571 dell’Autorità. Poi c’è tutto il tema legato a come collegare gli impianti al sistema di gestione di rete. Anche qui il movimento regolatorio è sincopato. Mi riferisco a un altro documento, il 557, in cui il regolatore, sulla scorta di una analisi di Terna, esprime la necessità dell’azienda di avere riserve a scendere e presenta come unica strategia attualmente possibile la diminuzione della produzione degli impianti rinnovabili. È chiaro come in questo contesto i sistemi di accumulo siano strategici consentendo di provvedere ad un servizio e di non perdere l’energia prodotta ma di conservarla. Certo, stiamo parlando di una realtà che si muove in maniera estremamente rapida, per cui tenere insieme tutti i tasselli e farli avanzare alla stessa velocità è complicato”.

Storage, generazione distribuita e microgrid costituiscono ormai un sistema sempre più essenziale per le nuove sfide energetiche che si declinano in strategie, innovazione, ripresa degli investimenti e sviluppo. Alla vigilia dell’appuntamento di Smart Grid International Forum, il 14 aprile a Roma, e7 ne ha parlato con Fabio Zanellini (Gruppo Sistemi di Accumulo di Anie Energia) e Andrea Galliani (responsabile Unità Produzione Energia, Fer ed Efficienza dell’Autorità per l’Energia).

Secondo Zanellini, che prosegue affrontando in particolare il problema della regolazione, “a seguito del documento di consultazione 613 del 2013, ci troviamo in una situazione di attesa. Aspettiamo due provvedimenti: il primo è la delibera sugli impianti di accumulo presso i privati, per cui l’Autorità dovrebbe approvare la variante alla norma 0-16 che il Cei ha pubblicato a dicembre 2013 rispetto le prime indicazioni di sistemi di connessione. Una delibera particolarmente voluta da Anie. L’altra delibera che attendiamo riguarda gli schemi di connessione e di misura che salvano gli incentivi per l’accumulo accoppiato a un impianto fotovoltaico”. “Oltre questo però – aggiunge – c’è un altro aspetto su cui l’Aeeg dovrà intervenire a breve: l’accumulo sulle reti di distribuzione. Difatti sia il V Conto Energia che la delibera 288 (sistemi di accumulo e trasmissione) indicavano la necessità di pronunciarsi in merito. Mancano quindi ancora alcuni tasselli necessari a completare e rendere definitivamente chiaro il processo di connessione di storage privato alle reti pubbliche. Credo che l’Aeeg non tarderà molto, ci aspettiamo una risposta a breve”.

“Il regolatore dovrebbe promuovere una regolazione che, per quanto possibile, non orienti aprioristicamente il sistema elettrico verso l’una o l’altra tipologia di installazione, ma che dia i corretti segnali sulle esternalità e sui costi indotti da queste installazioni, in un’ottica di efficienza. È proprio ciò che l’Autorità ha inteso fare pubblicando i propri orientamenti in materia con il DCO 613/2013/R/eel (pubblicato a dicembre e non ancora trasformato in delibera)”, sottolinea dal canto suo Galliani che poi aggiunge come ” a fini regolatori, l’Autorità ha indicato che i sistemi di accumulo potrebbero essere considerati come unità di generazione, applicando a essi quanto già oggi previsto per i sistemi di pompaggio (che sono meccanismi di accumulo)”.

Più nel dettaglio, quanto ai punti essenziali della regolazione, Galliani precisa che “per quanto riguarda le connessioni, nel Dco 613/2013/R/eel, l’Autorità ha indicato che le procedure da seguire dovrebbero essere le medesime già oggi applicate per le connessioni degli impianti di produzione. Nel primo periodo potrebbero essere applicate le condizioni procedurali ed economiche semplificate previste oggi per gli impianti di cogenerazione ad alto rendimento e impianti Fer (procedure e tempistiche standard con indennizzi automatici e corrispettivi a forfait)”.

Per quanto riguarda il dispacciamento, “l’utente, o il produttore, dovrebbe avere la facoltà – per quanto non strettamente necessario all’efficiente gestione in sicurezza del sistema – di definire una unità di produzione specifica per i sistemi di accumulo installati, separata dagli altri gruppi di generazione, o di considerare i predetti sistemi come uno dei gruppi di generazione che costituiscono l’unità di produzione, mantenendone le caratteristiche originarie (almeno in fase di prima applicazione). Ciò significa che, almeno inizialmente, se viene installato un sistema di accumulo presso un impianto fotovoltaico, il produttore può ancora configurare un’unica unità di produzione che continuerebbe a essere trattata nel sistema elettrico come non programmabile. Tuttavia a regime occorrerà valutare quando ricorrono i presupposti in base ai quali la nuova unità di produzione (comprensiva del sistema di accumulo) diventa programmabile a tutti gli effetti”.

“Occorre poi valutare come gestire i sistemi di accumulo in presenza di incentivi (di varie forme), fermo restando il fatto che – nel caso di incentivi sulla produzione – l’energia elettrica incentivata continua ad essere quella prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili”, conclude.

Il vettore elettrico oltre la crisi

Siamo in un periodo lungo di overcapacity della generazione elettrica associato al calo della domanda di energia. Una delle soluzioni è la conversione degli usi finali a favore del vettore elettrico attraverso nuove tecnologie e settori quali, ad esempio, mobilità elettrica, riscaldamento domestico, domotica e pompe di calore. Prospettiva con benefici ambientali diretti e quantificabili economicamente, ma resa più difficile in Italia da alcune difficoltà strutturali: formulazione delle tariffe, eccesso di burocrazia, necessità di un cambio culturale tra i consumatori.

Questa la fotografia scattata nel corso dell’incontro che ha caratterizzato il convegno “Elettricità futura”, organizzato lo scorso 30 gennaio a Roma da Assoelettrica, al quale ha partecipato e7 e di cui si dà conto sul nuovo numero del settimanale di QE.

Secondo il presidente dell’associazione, Chicco Testa, “oggi c’è una serie di possibilità di utilizzo dell’elettricità che può migliorare la qualità della vita delle persone e lo stato dell’ambiente. Opportunità che sono però inibite da un sistema tariffario costruito nei suoi fondamenti negli anni ’70, quando lo scenario e le condizioni erano differenti. Occorre ritoccare vari aspetti, a partire dalla progressività della tariffa, che scoraggia il consumo elettrico”.

Non solo una questione di tariffe ma in alcuni casi anche di sufficiente sviluppo tecnologico, pensando ad esempio a costi e autonomia della mobilità elettrica: “Quello dell’auto elettrica – prosegue Testa – non è un problema di tariffe ma di penetrazione, diffusione della rete di ricarica etc. In altri casi, come le cucine a induzione o le pompe di calore, c’è invece un nodo sulle tariffe: uscendo dal limite dei tre kW residenti queste s’impennano. Oggi l’elettricità è penetrata in modo consistente nella nostra vita ma potrebbe essere consumata più e meglio. In termini di tariffe andrebbe pagata in base al consumo e in maniera proporzionale. L’esempio è dato da un impianto di condizionamento domestico, un elemento che migliora la qualità della vita. Di fronte alla scelta di acquisto non ci si pone tanto il problema del prezzo della tecnologia, quanto la difficoltà di dover cambiare il contratto di fornitura elettrica, con un costo progressivo e non proporzionale fuori dalla tariffa protetta”.

I benefici da prendere in considerazione riguardo al maggiore utilizzo del vettore elettrico negli usi finali sono anche a carattere ambientale, quantificabili economicamente attraverso tecniche opportune e sistemi di calcolo, fondamentali per comprendere se strategie e impegni sono nel loro complesso sostenibili e da perseguire.

A tal proposito Andrea Molocchi (ECBA Project) dà alcuni riferimenti quantitativi: “Il beneficio ambientale delle pompe di calore crescerà da 57 miliardi di euro nel 2014 a 437 nel 2020, prendendo in considerazione lo scenario base dell’analisi costi/benefici”.

A cambiare nei prossimi anni, secondo gli orizzonti posti dalla Ue al 2020, 2030 e 2050, è il paradigma di riferimento: la crescita dei Paesi non è più dipesa da un “maggior consumo energetico, ma da un consumo intelligente”, spiega Pia Saraceno (Ref-E). Un consumo nel quale una maggiore diffusione del vettore elettrico, associata a tecnologie e politiche di efficienza energetica, rappresentano la strada verso la sostenibilità ambitale ed economica.

A tal riguardo, però, Saraceno avverte: “Lo spostamento dei consumi sul vettore elettrico toglie quote ad altri comparti (gas e petrolio), come indicato nella strategia al 2050, che comporterà sostegni allo sviluppo di filiere quali generazione, accumuli ed elettrotecnologie, a discapito di settori come, ad esempio, le infrastrutture gas. I vantaggi derivanti saranno a medio e lungo termine (in primis ambientali), mentre nel breve periodo ciò comporterà dei costi”.

La sostenibilità ambientale dettata da una maggiore diffusione del vettore elettrico nei consumi finali di energia, al netto dei costi di conversione del sistema verso questa prospettiva, è considerata la chiave per far fronte alla grande sovra capacità produttiva presente oggi in Italia, oltre che per ridurre l’impatto ambientale derivante dall’uso di altri vettori energetici e la dipendenza dall’estero nell’import di energia primaria; “non bisogna ridurre il consumo finale ma primario di energia”, spiega G.B. Zorzoli (Coordinamento Free).

Consumare più elettricità, dunque, ma utilizzarla anche in maniera più “smart”, come sottolinea Fabio Bulgarelli di Enel: “Fare efficienza significa risparmiare energia primaria, abbattere le emissioni, ridurre le bollette e avere un volano per la manifattura di riferimento. Lo specifico del vettore elettrico è da valorizzare, ad esempio nella cogenerazione o per l’uso di tecnologie come le caldaie a induzione e le pompe di calore”.

Prospettiva condivisa anche dal vice presidente di Confindustria Aurelio Regina: “In termini di efficienza siamo in una situazione positiva e abbiamo un comparto industriale importante sul quale vogliamo puntare anche per gli obiettivi ambientali”.

Nel complesso, allo stato attuale, è certo che gli stakeholder hanno ben chiara la strada da seguire per risolvere le difficoltà strutturali presenti nel nostro Paese, anche alla luce di ricerche, studi e proposte che circolano già da tempo. Qual è la risposta politica e istituzionale? “La risposta c’è stata nel caso dell’Autorità, che qualche mese fa ha aperto una procedura di consultazione molto ben fatta perché risale alle fondamenta del sistema tariffario nazionale. Un procedimento che si concluderà entro il 2014, i tempi sono forse un po’ lunghi ma purtroppo in questo Paese fare le cose rapidamente è abbastanza difficile”, commenta e conclude Chicco Testa, sorridendo con amarezza.

Efficienza. Romano (Mse). Detrazioni sì ma serve più credito

Da un lato, la stabilizzazione degli strumenti e la certezza delle norme; dall’altro, lo sprone al sistema bancario/finanziario affinché sviluppi il settore anche fuori dall’esclusivo  aiuto pubblico. Sara Romano, appena riconfermata d.g. Mercato Elettrico, Rinnovabili, Efficienza Energetica e Nucleare, fa il punto con e7 sull’attività del Mse nel settore, in occasione della presentazione del 3° Rapporto dell’Enea sull’efficienza energetica.

“La questione per noi è molto importante”, dice il d.g. sul nuovo numero del settimanale di QE. “Stiamo riscontrando un progressivo interesse da parte del mondo creditizio verso l’efficienza energetica, con uno spostamento di attenzione tipicamente proprio delle rinnovabili elettriche anche verso comparti meno gettonati come efficienza, edilizia, etc. La rimodulazione degli obiettivi contenuti nella Strategia energetica nazionale, che ha messo l’efficienza al primo posto e ha meglio distribuito incentivi e risorse tra elettrico e termico, ha dato un’indicazione chiara della strada che si vuole percorrere; al pari di quanto s’intende fare in campo europeo”.

“Dunque – prosegue – l’insieme delle politiche pubbliche, con la stabilità, hanno favorito un passaggio di interesse. Occorre che questo settore non sia sostenuto solo da incentivi in conto capitale e tradizionali strumenti di obbligo come i certificati bianchi: deve essere visto anche dagli istituti bancari; rispetto ai quali i fondi di garanzia possono dare un aiuto, ma a condizione che i progetti siano bancabili da sé. Il fondo di garanzia può ridurre il rischio e il costo del debito, non cancellarlo.

Come Ministero e come Direzione, in collaborazione con il Dicastero dell’Ambiente – aggiunge – stiamo lavorando per creare strumenti e procedure che possano sostenere un comparto che sia attraente anche all’esterno”.

Nel corso del convegno Enea è arrivato un plauso alla stabilizzazione di misure come le detrazioni fiscali per le ristrutturazioni, ma anche una richiesta di razionalizzazione e migliore organizzazione di tali strumenti per migliorarne gli effetti ed evitare sovrapposizioni.

Tutto ciò “è esattamente la proposta che da almeno due anni mandiamo avanti”, spiega il d.g. “La stabilità della detrazione è importante, ma adesso che abbiamo il Conto termico (primo Paese ad averlo) e che il mercato si è già spostato verso certi prodotti, possiamo rimodulare le detrazioni pur dando continuità, allocando risorse dove ci sono interventi dal rapporto energetico costo/efficacia più alto e anche tempi di recupero più lunghi. Non è solo un tema tecnico ma anche politico e il Parlamento ha una grandissima “simpatia” verso questo tipo di strumento”.

L’Unione nazionale consumatori sostiene il lancio di una certificazione europea dei prodotti sulla base della classe e delle prestazioni di efficienza, che possa sensibilizzare l’utente a consumi e pratiche virtuose.

“Questo è un aspetto che fa parte della regolazione in generale. La qualificazione dei prodotti e dei servizi sulla base di una scala qualitativa è un argomento quasi nascosto, ma che sta andando avanti a livello europeo con gruppi tecnici che, prodotto per prodotto, stanno definendo le specifiche prestazionali. Tutti i Paesi stanno lavorando intensamente e il Ministero dà il suo contributo con la collaborazione dell’Enea. Abbiamo un buon dialogo con l’industria nazionale e sui tavoli europei riusciamo a difendere posizioni di avanguardia per le quali l’Italia è ottimamente collocata”, conclude.

Sul nuovo numero di e7 tra gli altri anche un articolo sulle Olimpiadi invernali di Sochi: definiti e certificati come “i più green” degli ultimi appuntamenti, in realtà presentano anche il rovescio della medaglia.

A Nizza la Smart City esiste già

A Nizza la Smart City esiste già. Più precisamente il primo smart solar district demostration city è situato nel Comune di Carros. Il sistema è stato realizzato in una zona della Francia molto turistica in cui la dorsale di distribuzione energetica presenta una strozzatura che rende difficile la gestione dei picchi di consumo tipici dell’area, sia in entrata che in uscita. Una micro rete smart quindi può rappresentare la soluzione ideale per gestire al meglio le risorse interne, ridistribuendo in modo non traumatico e flessibile i flussi energetici.

Il tema è affrontato dall’inviato di e7, il settimanale di QE, sul nuovo numero in uscita.

Una microgrid collegata alla rete principale per gestire in modo efficiente l’energia a disposizione, si spiega. interagisce con l’utente finale all’interno di una rete. Ad essa sono collegate sia case private che aziende e società di servizi. Una micro smart grid che, come sottolinea Laurent Schmitt, Vice presidente Alstom Grid “è di fatto la base su cui si evolve e struttura una smart city. In questo modo, trasformiamo il consumatore in prosumer”.

La società è partner dell’iniziativa capitanata da ERDF, con la partecipazione di Alstom, Edf, SAFT, Rte ed è parte delle iniziative di GRID4EU.

In questo scenario le utility saranno sempre centrali nello sviluppo del sistema energetico, ma ricopriranno un nuovo ruolo. Secondo Patrick Plas, Senior Vice president Alstom Grid,  sarà infatti la gestione degli scambi energetici tra prosumer, rete  e storage, il nuovo modello di business di quella che non esita a definire la “Re-evolution” indotta dalla smart grid.

Più nel dettaglio la rete, composta da generazione distribuita prodotta con impianti fotovoltaici, storage, smart meter è gestita da un software di controllo strutturato per la gestione di big data in real time che permette una relazione diretta con i consumatori. La città intelligente ha un cervello che dialoga con l’intero sistema secondo i parametri di interoperabilità e di sicurezza con cui valuta, secondo le previsioni meteo ed i trend di consumo, la produzione.

Inoltre, insegna ai consumatori come e quando, di volta in volta, sia meglio consumare inviando sms ed email direttamente agli interessati. Il messaggio trasmette una via indicativa di consumo ottimale delle risorse energetiche disponibili, lasciando comunque massima libertà di scelta al cliente finale che può utilizzare l’energia interna oppure se preferisce collegarsi alla rete classica.

“A seguito dell’esperienza che stiamo vivendo a Carros, valutiamo insieme all’amministrazione cittadina di Nizza la realizzazione di edifici già smart, così da abbattere il più possibile i costi di evoluzione verso la città del futuro, conclude Schmitt.

Spegnimento sempre meno simbolico: cresce il risparmio

“All’inizio l’obiettivo era misurare i risparmi conseguiti, oggi il fine è promuovere l’adozione di buone abitudini che durino tutto l’anno. Anche gli ascoltatori sono di quest’avviso: coinvolgere tutto il Paese in una manifestazione che vuole abbassare i consumi energetici è anche un modo per inorgoglire chi, con gesti intelligenti, può fare del bene al pianeta”. Non solo promuovere, ma anche fare. “Alla Rai sono tante le attività che incidono sui consumi energetici: dalla riduzione del numero di stampanti nelle redazioni alla realizzazione nel 2013 della copertura termica della sede di Milano per isolare l’edificio ed evitare sprechi nel riscaldamento. In occasione di M’illumino di meno tutte le sedi regionali hanno spento le luci, dando una grande risposta all’iniziativa”.

Lisa Tropea della redazione del programma radiofonico Caterpillar, Rai Radio2 riassume a e7 il significato della decima edizione di M’illumino di Meno, svoltasi il 14 febbraio, e che ha puntato “non più solo allo spegnimento simbolico, ma piuttosto a far leva sulle accensioni virtuose e sulla produzione intelligente di energia”.

Per la prima volta anche l’edilizia, grande energivora, risponde alla chiamata: “Le 26 imprese che aderiscono all’Unione Costruttori Impianti di Finitura rappresentano il 70% del mercato italiano e hanno grandi consumi. Per ridurli alcune adottano il geotermico nei propri impianti, altre cercano di stampare meno adoperando verbali digitali durante le riunioni” spiega Manuela Casali, presidente UCIF. “Abbiamo aderito a M’illumino di meno con lo scopo di dimostrare al pubblico che anche un’associazione metalmeccanica di vecchio stampo risparmia e ha risparmiato. Con il nostro slogan “Non sprechiamo l’energia, con noi lo sviluppo è sostenibile” abbiamo incentivato lo spegnimento delle luci in ufficio dall’11 al 14 febbraio durante l’ora di pranzo.

Anche il re dei fast food si è fermato. “Dieci anni fa c’era stupore, oggi grande consapevolezza, afferma Carla D’andrea, Environmental Manager di McDonald’s. “Prima l’illuminazione era un “eccesso di zelo” e non si capiva perché bisognava illuminarsi di meno, ora si sa che lo spreco non ha più senso. Per questo con migliaia di ore di training l’anno formiamo 200 persone su come agire in funzione dell’energy saving.  Il 14 febbraio abbiamo spento per un’ora le luci artificiali in  250 ristoranti, risparmiando 7 KWh per ristorante equivalenti a 3.5 Kg di CO2 nell’atmosfera”, aggiunge.

“E il discorso non si ferma all’illuminazione, ma coinvolge anche l’uso di macchinari per la refrigerazione e il condizionamento. Negli ultimi sette anni, in cui abbiamo aderito alla campagna, questa consapevolezza è aumentata ed è stata accelerata dalla crisi economica. Abbiamo installato in numerosi punti di ristorazione pannelli solari, pompe di calore e macchine frigorifere all’avanguardia per raggiungere, entro il 2014, un risparmio del 7-10% nei ristoranti che hanno un consumo annuo di 400-450 kW”, conclude.

Durante la settimana di campagna, Intesa San Paolo ha raggiunto “3.800.000 persone: oltre 2.000.980 mila hanno visualizzato il nostro messaggio di sensibilizzazione effettuando prelievi, altri 800.000 utenti durante l’accesso per altre operazioni. Un messaggio da rileggere con calma anche a casa propria, perché stampato in forma breve sullo scontrino” afferma Elisa Dardanello, Energy Manager di Intesa Sanpaolo. “In questo quinto anno di adesione il Gruppo ha partecipato spegnendo simbolicamente le facciate delle sue Gallerie d’Italia, i tre poli museali di Milano, Napoli e Vicenza. Sempre rispettando il leitmotiv dell’iniziativa, in occasione delle scorse edizioni abbiamo inaugurato il nostro primo impianto fotovoltaico e acceso quattro filiali a led. Intesa Sanpaolo è da anni impegnato sul fronte del risparmio energetico e della riduzione dei consumi”.

Non mancano le amministrazioni comunali. L’Associazione dei comuni virtuosi ha aderito all’iniziativa chiedendo ai soci di approvare le linee guida promosse lo scorso anno per costruire e/o riqualificare gli edifici favorendo l’uso della luce naturale” spiega il Coordinatore dell’Associazione Marco Boschini. “I 15 comuni che hanno risposto positivamente hanno fatto coincidere l’approvazione delle linee guida con l’approvazione delle delibere o in giunta o in consiglio comunale a cavallo del 14 febbraio. Per il prossimo anno l’obiettivo è coinvolgere i restanti 59 comuni”.

Non solo più uno slogan, quindi, ma una vera cultura del risparmio energetico che si diffonde sempre di più. La speranza? Che questa pratica continui. L’attesa? Che il mondo si spenga per riaccendersi in maniera intelligente con energia più pulita.

Va in scena il 2014

“Un 2013 ritmato dai pochi “go” e molti “stop” della crisi. Un 2014 che si apre con qualche spunto positivo in più. Anche per l’energia. Ma soltanto a condizione che si affronti seriamente un problema di base: l’assenza oggi più che mai di tutta evidenza, ad ogni livello (nazionale ed europeo), di una vera strategicamente premiante politica energetica”. “Dettata e aggravata proprio dalle difficoltà dell’emergenza, oltre che dall’errata convinzione che l’economia possa migliorare con soluzioni autonome non condivise, questa latitanza riduce al contrario gli spazi di competizione, ritarda se non azzera gli investimenti, soprattutto crea molta incertezza”.

Un sentimento diffuso, questo, che aleggia nelle considerazioni dei principali interlocutori (operatori e associazioni) ai quali e7 ha chiesto in questo fine d’anno di gettare uno sguardo al prossimo futuro.

Per unanime consenso – sottolinea l’editoriale di apertura – al centro restano le fonti rinnovabili assieme allo sviluppo green trainato dalle grandi economie e non solo. Tuttavia, è importante la conferma del fattore sicurezza rappresentato dagli idrocarburi che, pure, sfuggono ormai da tempo al tradizionale riferimento dei fondamentali di mercato. Di “trilemma” energetico (sicurezza, sostenibilità, sviluppo) parla non a caso il WEO 2013 dell’Aie a fronte di obiettivi affatto scontati “se il traguardo deve essere, come dovrebbe, il benessere di popolazioni ancora lontane dal minimo accettabile sostentamento quotidiano”.

Scenari casalinghi di diverso tenore ma non meno importanti per una discussione attenta (nell’anno del semestre italiano di presidenza Ue) parlano intanto “di una diffusa confusione regolatoria e istituzionale nel momento in cui si prova a far uscire la disordinata crescita delle Fer dall’ombrello parafulmine degli incentivi. Con un termoelettrico sofferente non meno se non di più di quello europeo e interventi invano attesi in un settore, l’efficienza, che promette assai di più a costi assai più contenuti”.

Di questo ed altro ancora parlano i diversi contributi presenti sul nuovo numero di e7 il settimanale di QE.

Tra di essi una intervista a Georgina Hayden, responsabile Energy Analist a Business Monitor International, che passa in rapida panoramica lo stato degli investimenti delle Fer nel mondo sottolineandone il ruolo significativo ai fini del rilancio economico.

Il presidente dell’Aiee, Edgardo Curcio, delinea lo scenario geopolitico oil ed i suoi mutamenti alla luce delle novità della produzione Usa che, grazie all’output non convenzionale, gareggia ormai con quella saudita. Soffre intanto l’Europa soprattutto nella raffinazione e ancor più l’Italia che sconta tuttora l’arretratezza del sistema distributivo.

Carlo Durante, managing partner di eLeMeNS,  approfitta del dialogo leopardiano tra un “Venditore d’Almanacchi e un Passeggere” per approndire il tema del postincentivi rinnovabili in una prospettiva, commenta, di un inevitabile consolidamento del settore per il quale, aggiunge SaveNet, sarà importante anche l’intervento delle piccole e medie imprese.

“Qualcosa è cambiato nel mondo delle utility” dice invece a e7 il direttore di Federutility, Massimiliano Bianco, secondo il quale “troppo spesso di fronte alla crisi economica degli enti locali, si è fatto affidamento sul settore per compensare servizi che i Comuni non hanno più le risorse per assicurare”.

L’efficienza ormai è matura ma occorre preparazione ed esperienza sul campo, commenta dal canto suo il presidente di AssoEge, Michele Santovito, che enfatizza il tema dell’efficienza energetica alla luce della direttiva europea e del decreto ministeriale che aggiorna il meccanismo dei titoli di efficienza. Infine, Giorgio Graditi (Enea) ricorda l’ottima posizione dell’Italia nella sfida sempre più globale delle Smart Grid.

Pompe di calore, arriva la nuova tariffa

Il 2013 dell’Autorità per l’Energia si è chiuso con l’approvazione della delibera che prevede l’applicazione sperimentale di una tariffa lineare, la D1, per gli utenti che impiegano le pompe di calore per il riscaldamento domestico. L’iniziativa può avere un impatto importante sul comparto industriale, in quanto questo strumento di riscaldamento e raffreddamento per quanto sia caratterizzato da una elevata efficienza energetica domestica ha come maggiore costo l’attuale tipologia di tariffazione elettrica. Proprio a questa esigenza va incontro la decisione del regolatore.

E7, nel suo ultimo numero, ha commentato l’iniziativa con Giampiero Colli, segretario CO.AER (Associazione costruttori apparecchiature ed impianti per la climatizzazione e pompe di calore), e Fernando Pettorossi, a capo del gruppo italiano pompe di calore CO.AER.

“La delibera introduce in via sperimentale una tariffa, la D1, più idonea alla tipologia di consumi tipica delle pompe di calore. La disposizione – sottolinea Colli –  è il risultato di un lunghissimo lavoro che, come associazione, abbiamo fatto nell’arco degli ultimi due/tre anni poiché questa tecnologia per riscaldamento e raffrescamento,  molto in uso in Europa, anche per la sua specifica caratteristica di riduzione dei consumi del 30%-40% non trovava rispondenza nei costi di esercizio applicati. Di fatto l’utente non percepiva l’efficienza in quanto la riduzione dei consumi non si traduceva in riduzione dei costi, anzi”.

“Ciò accadeva – prosegue –  perché chi decideva di utilizzare questo strumento si trovava a dover richiedere una aggiunta ai consumi domestici tradizionali, passando a tariffe come la D2 o D3 che vengono assegnate a seconda della potenza impegnata. Rientrando nelle fasce più alte, il risultato era un costo per kWh molto elevato. Abbiamo necessità che l’utente possa avere un sistema di tariffa piatta lineare dove il costo del kWh elettrico è costante e non influenzato dalla mole di consumi”.

Notevoli i possibili effetti di una maggiore diffusione sotto diversi profili.
“Lo sviluppo delle pompe di calore in Italia – dice in proposito Pettorossi – ha degli importanti impatti industriali, ambientali ed energetici.

Innanzitutto dal punto di vista economico e come sistema Paese, questa è un’industria di eccellenza a livello europeo. Per questo il fatto che la sua produzione venisse penalizzata stava spiazzando il nostro tessuto industriale. Si deve considerare che il 50% del fatturato dell’industria viene esportato mentre l’altro 50% è mercato interno, quindi rischiamo il 50% del mercato se non agiamo per adeguare la procedura di istallazione”.

Quanto alla procedura di accesso alla tariffa sperimentale e ad alcuni questioni sul tavolo, come la retroattività Colli ricorda che “la procedura verrà messa in inchiesta pubblica a giorni dalla stessa Autorità: in questo modo, saranno specificate le modalità di accesso. Al momento sembra che se ne  potranno avvalere tutti gli utenti, quindi è prevista la retroattività. Unica condizione posta è che la pompa di calore sia il solo impianto di riscaldamento o perlomeno sia l’impianto primario, e che i richiedenti siano residenti nell’abitazione, sono escluse in sostanza le seconde case”.

“In tal senso abbiamo sviluppato alcune ipotesi”, continua. “La prima è che questa tariffa viaggi parallelamente al bonus fiscale. Chi oggi intende utilizzare o usufruire di un bonus del 65% per la ristrutturazione e sostituisse il vecchio impianto con le pompe di calore, avrebbe diritto alla tariffa D1. In questo modo l’impianto di riscaldamento unico a pompa di calore farà da traino a tutti i consumi dell’abitazione, dato che si presuppone che chi utilizza questo strumento impieghi l’elettricità anche per altre forme di consumi come:  piano cottura, acqua calda sanitaria etc.”

“Immagino – aggiunge – che secondo questa logica ne avranno diritto anche coloro che hanno usufruito di detrazioni fiscali negli anni precedenti, sempre in merito all’efficienza negli impianti”.

“Resta da capire cosa accade nei nuovi edifici. Credo – dice ancora Colli al settimanale di QE –  che per questo sarà necessario conoscere nel dettaglio le condizioni operative richieste dall’Autorità, ma immagino che l’utente potrà  usufruire di una dichiarazione del tecnico progettista che attesti l’istallazione dell’impianto di pompe di calore come primario.

Considerato che l’Aeeg sarà cauta nel concedere la tariffa agevolata almeno in questa prima fase sperimentale, penso sarà più complesso far rientrare gli utenti che hanno inserito la pompa di calore prima degli incentivi 2006”, conclude.

Al riguardo “mi sembra opportuno precisare – precisa dal canto suo Pettorossi – che  la tariffa D1 non è convenzionata e non è incentivata. è una tariffa lineare che non ha i sovra costi e i sussidi incrociati per finanziare le altre tariffe”.

Ultima questione: considerato che attualmente per istallare una pompa di calore bisogna effettuare un upgrade di potenza sul proprio voltaggio o inserire un doppio contatore, siamo di fronte ad operazioni che hanno un costo per l’utente finale.

“Il doppio contatore è un argomento che vorremmo chiarire con l’Aeeg”, sottolinea Colli.

“Ad esempio c’è la situazione dei condomini che oggi hanno diritto a una tariffa lineare diversa. Credo che l’opzione del doppio contatore rimarrà per rispondere a esigenze diverse, ad esempio nel caso l’utente non possa accedere alla D1 perché non possiede una pompa di calore altamente efficiente. Sicuramente  ci sono delle aree che vanno ancora investigate. Adesso abbiamo presentato degli esempi in cui sicuramente ci sono le condizioni per accedere alla tariffa in via sperimentale, poi dovremo capire cosa accadrà nello specifico. Per far ciò stiamo fissando un appuntamento con l’Aeeg. La tariffa sarà operativa a luglio,  nel frattempo dobbiamo lavorare affinché tale applicazione sia il più rispondente alle esigenze dell’utente e alle potenzialità del mezzo”, conclude.

Biomasse, il paradosso italiano

È un paradosso tutto italiano quello relativo al c.d. decreto sui “sottoprodotti”. I gestori degli impianti a biogas e delle reti di teleriscaldamento a biomassa legnosa vergine sono in attesa ormai da circa 2 anni di un provvedimento del Ministero dell’Ambiente che dovrebbe caratterizzare scarti alimentari, potatura del verde urbano, etc. utilizzabili per la produzione di energia. Si tratta di biomasse cui il Mse già riconosce sia la possibilità di impiego per fini energetici che le relative incentivazioni. Tutto in ordine, se non fosse che allo stato attuale alcune di queste biomasse rientrano nell’ambito di applicazione della gestione rifiuti e l’utilizzo per altri scopi è penalmente perseguibile. La Fiper da tempo chiede invano un intervento risolutore.

“Siamo veramente amareggiati – spiega il presidente Walter Righini sull’ultimo numero di e7- da queste inutili e dannose lungaggini. Purtroppo sono ben 2 anni che attendiamo il decreto! Questo decreto è di fatto il braccio operativo del DM 6 luglio 2012 che ha segnato un punto di svolta nella politica di incentivazione dell’energia elettrica da fonti rinnovabili. Infatti, per la prima volta, il legislatore riconosce un bonus sulla tariffa incentivante, se l’operatore utilizza quali biomasse i cosiddetti sottoprodotti che da costo possono diventare risorse. I sottoprodotti identificati nella Tabella 1A del DM rappresentano una vera e propria risorsa per il Sistema Paese; dagli avanzi di ristorazione e dell’industria agroalimentare, alle potature del verde urbano sino agli scarti di lavorazione del legno, il valore economico è stato sinora sottovalutato, perché non esisteva un mercato di riferimento, se non quello dello smaltimento rifiuti”.

Fiper partecipa, insieme ad altre associazioni di settore, da oltre un anno al tavolo di lavoro istituito dalla segreteria tecnica del Ministero dell’Ambiente per definire accuratamente l’iter e le procedure per favorire l’impiego di queste biomasse nel rispetto dell’ambiente e della salute. “Il decreto – aggiunge Righini – sarebbe dovuto uscire negli ultimi mesi del Governo tecnico. Invece, cambiato ministro, cambiati i dirigenti, la bozza è rimasta nel limbo della burocrazia interna al Ministero. Stupisce il ministro Orlando, quando per far fronte all’emergenza legna sulle spiagge della sua Liguria, dichiara di procedere alla messa a punto di un bando per l’impiego di questo materiale a fini energetici, senza sapere – commenta il presidente – o mettendo in secondo piano l’urgenza di emanazione di un decreto che premierebbe la gestione e manutenzione del territorio e l’utilizzo di tale materiale!”.

“Ogni giorno siamo sommersi di chiamate dal Friuli alla Sicilia di amministrazioni di piccoli e medi comuni che, dati i vincoli di bilancio, vorrebbero poter utilizzare ad esempio le potature del verde urbano o dei parchi limitrofi per trasformare un costo di smaltimento in una voce di ricavo”, dice ancora Righini al settimanale di QE.

“Solo sulla partita del verde pubblico, abbiamo stimato molto prudenzialmente che il quantitativo disponibile si attesta intorno ai 3-4 milioni di ton/anno con un costo di smaltimento di circa 180-240 milioni di euro a fronte di un possibile ricavo, in caso di utilizzo energetico, di 80-120 milioni. Il beneficio economico complessivo per l’Amministrazione pubblica Italiana potrebbe aggirarsi tra 240-360 milioni di €/anno. Da quando è stata aumentata la Tares per ristoratori e albergatori, diverse sono state poi le sollecitazioni riguardo la modalità di impiego di questa biomassa a fini energetici proveniente dagli scarti della ristorazione”.

“Il problema di fondo – sottolinea ancora – è che in mancanza di una chiara politica energetica ed ambientale di lungo periodo, ogni Governo si sente legittimato a rimettere in discussione i provvedimenti attuati dal precedente, attuando di fatto una politica “stop and go” che non favorisce gli investimenti. Infine, la pressione di alcune lobby che difendono interessi basati sul mantenere queste biomasse rifiuti (ad es. compostatori o indotto dello smaltimento rifiuti) di certo non favorisce il loro uso virtuoso. Per ultimo, ma non certo per importanza, il nostro sistema burocratico che di fatto blocca ogni nuova iniziativa e sviluppo. Non ci stancheremo mai di ripetere: basta chiacchiere e burocrazia inutile, passiamo a fatti concreti, anche se piccoli”, conclude.

Dentro la Robin Tax

“La modifica normativa non rende più complicata l’azione di controllo; di fatto, la vigilanza viene circoscritta ai soli soggetti con fatturato oltre la c.d. soglia antitrust, ovvero sui soggetti che  per le loro dimensioni, possono determinare un maggiore impatto sui prezzi in caso di condotte traslative.  Il recente DCO 601/2013/E/RHT  illustra gli orientamenti dell’Autorità per la riforma dell’impianto dell’attività di vigilanza, per recepire il nuovo perimetro dei soggetti vigilati, stabilire nuove tempistiche e modalità negli adempimenti e definire un criterio di campionatura”.

Così il commissario dell’Autorità per l’Energia, Rocco Colicchio, intervistato sul nuovo numero di e7, riguardo il fatto che, da quest’anno, i controlli della Robin Tax (di cui il regolatore ha pubblicato nei giorni scorsi la relazione annuale di attività), saranno effettuati a campione.

Colicchio ricorda più in generale che “la metodologia di analisi adottata parte dal principio che la maggiorazione d’imposta è l’entità da rintracciare nelle politiche dei prezzi praticati dalle imprese vigilate, attraverso l’osservazione del loro comportamento con particolare attenzione agli atti economico-finanziari compiuti nel mercato (clienti, fornitori, finanziatori) e all’interno delle aziende (costi e processi di efficientamento)”. “Questo metodo è principalmente di natura contabile e si basa sui dati contenuti nelle registrazioni e nella documentazione tenuta dalle imprese per obblighi di legge, che confluisce nei bilanci pubblici di esercizio. Il Consiglio di Stato ha affermato che gli strumenti conoscitivi individuati dall’Autorità ed applicati alle analisi dei dati sono “adeguati e proporzionati” anche in considerazione della “difficoltà e complessità proprie dell’esercizio di un potere di vigilanza su settori particolarmente sensibili e densi di implicazioni” , evidenzia il commissario.

Sono previsti più livelli di approfondimento in sequenza tra loro: in una prima fase, i soggetti vigilati debbono inviare alcuni dati contabili relativi ad acquisti, vendite e rimanenze di periodo, specificandone i volumi. I dati vengono validati ed elaborati dagli Uffici della Direzione Osservatorio Vigilanza e Controlli dell’Autorità, in collaborazione con il Nucleo Speciale Tutela dei Mercati della Guardia di Finanza per calcolare il cosiddetto margine di contribuzione semestrale. In caso di variazione positiva del margine attribuibile alla dinamica dei prezzi (c.d. effetto prezzo), viene inviata una richiesta di motivazioni e di informazioni e, se le risposte non sono esaustive o non pervengono, è possibile avviare un procedimento individuale per accertare eventuali condotte traslative.

“Il decreto-legge 112 che nel 2008 ha introdotto la Robin Hood Tax, vieta  la traslazione dell’addizionale Ires sui prezzi al consumo e affida all’Autorità il compito di vigilare ”sulla puntuale osservanza della disposizione”, sottolinea poi Colliccio.

“In tale contesto – spiega – l’Autorità si è concentrata sul monitoraggio delle imprese, con particolare attenzione ai prezzi praticati prima e dopo l’applicazione della maggiorazione Ires. Sin dall’inizio non è stata attribuita una potestà sanzionatoria al Regolatore. L’assenza di tale potere è stata in seguito ribadita anche dal Tribunale amministrativo e dal Consiglio di Stato, che hanno stabilito nelle loro sentenze l’esclusiva funzione di vigilanza e di referto dell’Autorità verso il Parlamento”.

Accanto all’attività referente nei confronti del Parlamento, comunque, “l’Autorità può esercitare il potere sanzionatorio per le violazioni della regolazione con riguardo all’obbligo di fornire la documentazione necessaria ai fini della vigilanza”, ricorda Colicchio. “Infatti nei casi in cui le imprese non abbiano adempiuto agli obblighi informativi nei termini previsti, l’Autorità intima formalmente ad adempiere con apposito provvedimento. Nel 2013, a seguito delle intimazioni ad adempiere, l’Autorità ha avviato 17 procedimenti sanzionatori nei confronti di 13 società del settore petrolifero e di quattro del settore energia elettrica e gas”, conclude.

Su questo numero del settimanale di QE, anche una intervista ad Alessandro Ortism che guida il gruppo di esperti incaricato dall’Enea di valutare le nuove proposte per lo sviluppo sostenibile.

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